27 November 2011

Ammutinamento a Tahrir. Domani si vota?

Il capitano che ha disertato oggi a Tahrir
Le stelle cucite sulle spalline dell'uniforme sono tre. Significa che è un capitano. Quando spunta tra la folla di Tahrir sono da poco passate le cinque di pomeriggio. I ragazzi dei quartieri popolari appollaiati sulle ringhiere lo aiutano a salire in piedi sopra quel che rimane di una vecchia insegna pubblicitaria. Prima ancora che qualcuno gli passi il microfono, la folla gli regala un applauso scrosciante. Il fatto che sia disarmato è un indizio sufficiente. Quando poi inizia a portare ripetutamente la mano sul capo, in segno di rispetto per il popolo, 3ala rasi come si dice in arabo, sulla mia testa, è chiaro a tutti la scelta che ha fatto. Finalmente, con gli occhi lucidi, ma con la voce ferma, esplode in un: “Ashsha3ab yurid is9at al mushir!”. Il popolo vuole le dimissioni del generale. Ovvero di Tantawi, il capo delle forze armate, a cui è affidata la gestione di questa fase transitoria verso le elezioni. Il resto è una ola di mani e bandiere e canti patriottici che coprono la sua uscita di scena. Come si chiama il capitano ribelle non lo sapremo mai, perché dopo aver disertato pubblicamente, è scappato correndo tra la folla, accompagnato soltanto da chi adesso lo aiuterà a nascondersi, per non fargli fare la fine degli altri 23 ufficiali già arrestati per aver disatteso gli ordini del consiglio supremo delle forze armate dall'inizio della rivoluzione. Le loro foto sono stampate su uno dei più grandi manifesti appesi in piazza Tahrir. Il movimento ne chiede la liberazione. Segno che il sentimento tra il popolo egiziano e l'esercito è ancora positivo. Segno che, come ha detto il capitano ribelle prima di scappare: “Se cade il consiglio militare, non cade l'esercito”.
Come interpretare allora l'ennesimo ammutinamento alla vigilia delle elezioni in un paese guidato da una giunta militare? Oltretutto nel giorno in cui Tantawi ha detto che l'esercito non tollererà pressioni esterne. Il giorno in cui la piazza simbolo della rivoluzione egiziana è tornata a riempirsi. Chiedendo di nuovo il passaggio del potere dai militari ai civili, con una grande manifestazione alla vigilia delle più attese elezioni della storia egiziana.

Tutto intorno le televisioni di mezzo mondo riprendono la scena dai balconi dei palazzi che si affacciano sulla coreografica piazza Tahrir. I manifestanti sono meno dei giorni scorsi. Probabilmente alcune decine di migliaia. Certo, in Egitto la domenica è un giorno lavorativo e la pioggia non ha aiutato. Ma c'è dell'altro. C'è che questa volta non soltanto il partito dei Fratelli Musulmani, ma anche il partito dei Salafiti e Gama3a Islamiyya, hanno disertato la manifestazione, invitando i cittadini a andare al voto. Mentre nelle stesse ore il nuovo premier Ganzouri convocava le figure di spicco dell'opposizione e i futuri candidati alla presidenza per cercare un dialogo sulle riforme. Ma i duri continuano a crederci. E oltre alla manifestazione di oggi, ne hanno già convocata una per il pomeriggio di domani, a seggi elettorali aperti.

In realtà la maggior parte dei manifestanti ha già deciso che domani andrà a votare comunque. Come andranno le elezioni è facile intuirlo, se è vero che le elezioni del sindacato degli ingegneri, tenutesi due giorni fa, sono state largamente vinte da una lista dei Fratelli Musulmani. E parliamo di classe media, figuriamoci il ceto popolare dove i Fratelli Musulmani riscuotono ancora più successo. Ad ogni modo, piazza Tahrir è soprattutto contro la giunta militare, non contro le elezioni. Eppure sul web il dibattito impazza. Al punto che per molti il voto sembra il male minore anziché una grande conquista.

Blogger, attivisti politici e artisti in vista sono divisi. Da un lato c'è chi sostiene che non si possa votare in un paese retto da una giunta militare, con le strade ancora bagnate del sangue dei 42 morti della repressione dei giorni scorsi, con migliaia di prigionieri politici e ancora governato con la legge sullo stato di emergenza. Dall'altro lato invece chi pur condividendo le criticità della situazione politica e la necessità di continuare a manifestare, insiste perché tutti votino, sostenendo che il boicottaggio non influirebbe sul risultato.

Il clima di divisione che si avverte sui social network è lo stesso che regna in piazza Tahrir. Adel e Sayyed ad esempio, domani non andranno a votare. Sono due ragazzi di 26 anni, dormono in piazza Tahrir dalla notte di venerdì scorso. Hanno partecipato agli scontri e non intendono andarsene fino a quando non cadrà la giunta militare. Adel è un ingegnere, Sayyed un contadino. Sono qui come liberi cittadini, non appartengono a nessuna formazione politica, ma seguono l'ideologia jihadista di Bin Laden e Zuwahiri. Per spiegarmi meglio, mi regalano due libri di un teologo del loro movimento. Per loro, l'idea stessa di un paese fondato su leggi scelte dal popolo anziché rivelate da dio è un anatema. Per questo non voteranno. Posizioni come la loro in piazza sono rarissime. Ma ancora una volta, nella grande agorà di Tahrir c'è posto per tutti quelli che hanno un obiettivo comune: la liberazione del paese dalle forze residue del regime.

Tanto è vero che accanto alla tenda dei jihadisti, sono accampati tre ragazzi e due ragazze della sinistra egiziana. Uno di loro suona la chitarra intonando canti patriottici, gli altri stendono la versione finale di un comunicato da distribuire domani in piazza e sulla rete. Mentre davanti alle tende, su una panchina, Khaled e Asma si prendono un momento di riposo. Sono marito e moglie. Lui si definisce un liberale di formazione, però domani non vota perché ritiene illegittime le elezioni in un paese governato con lo stato di emergenza. La moglie invece voterà un partito di sinistra facente capo alla lista “Aththawra al mustamirra”, la rivoluzione continua. Quanto ai figli: sono tutti e due da qualche parte in piazza a intonare gli slogan della protesta.

Un comizio con l'unico microfono di piazza Tahrir
Gli slogan vengono coniati giorno dopo giorno dalla strada. Le regole sono scritte su un manifesto appeso a un semaforo: vietati slogan partitici e vietato portare microfoni. Sì perché nella più grande agorà del Mediterraneo, centinaia di migliaia di persone usano un solo microfono, h24. Ognuno può prendere la parola, ma per un periodo limitato. Tutto il resto avviene in piccoli comizi che si formano e si sciolgono in continuo in tutta la piazza. Funziona che uno si alza in piedi sulle spalle di un paio di passanti e inizia a intonare, possibilmente con qualcuno che tiene il ritmo con un tamburello. E la folla ripete le rime. Ho provato a trascrivere quegli slogan per rendere il linguaggio di Tahrir. Tradotti suonano più o meno così:

Il popolo vuole la caduta del generale/ Il popolo vuole la caduta del regime
Cada cada il governo militare/ Siamo noi il popolo siamo noi la linea rossa
Hanno ucciso Khaled! (nome musulmano)/ Hanno ucciso Mina (nome cristiano)/ ma ogni proiettile ci ha reso più forti!
Noi non ce ne andremo/ è lui che se ne deve andare
Diglielo diglielo e alza la voce/ non ce ne andiamo dalla piazza/ finché non cadranno tutti quanti
Dillo non aver paura!/ il consiglio militare deve andarsene!
L'esercito e il popolo sono una sola mano!
Vattene! Vattene!
Rivoluzione! Rivoluzione!/ Fino alla vittoria
Viva l'Egitto
Libertà! Libertà!
Vattene Vattene Tantawi!
Una seconda rivoluzione di nuovo!