Il centro d'accoglienza di Pozzallo dopo la rivolta Foto tratta da Il Clandestino |
Nella struttura all'interno dell'area portuale di Pozzallo infatti, dall'inizio dell'anno sono stati concentrati e detenuti centinaia di egiziani e tunisini, spesso senza che nemmeno avvocati e funzionari dell'Acnur fossero autorizzati dalla questura a visitare i reclusi. Il tutto in una ostentata sospensione dello stato di diritto. Primo perché la struttura non è giuridicamente configurata come un centro di detenzione, non essendo un Cie né un carcere. Secondo perché fino a prova contraria la privazione della libertà personale in Italia non può avvenire senza la convalida di un giudice entro 48 ore. Lo dice la Costituzione italiana e lo ribadisce la legge sull'immigrazione. Evidentemente però in questo clima da stato di polizia, la libertà degli altri non è più un diritto così inviolabile. Soprattutto se gli altri sono i più malvoluti dei viaggiatori: gli harraga. E soprattutto se osano alzare la testa e ribellarsi a ciò che è ingiusto.
Se ne accorgeranno presto i 26 dei 54 fuggitivi che sono stati rintracciati nella zona portuale di Pozzallo e nelle campagne adiacenti nelle ore successive alla fuga. Per 13 di loro infatti sono scattate le manette. Le accuse sono di quelle pesanti: devastazione, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate. Rischiano anni di carcere. Sicuramente di più di quello che rischiano tanti colletti bianchi invischiati in storie di mafia e corruzione. Magari gli stessi che qualche settimana fa in parlamento hanno votato la nuova legge che porta a 18 mesi il limite di reclusione nei centri di identificazione e espulsione (Cie).