Continua lo sciopero della fame dei 200 tunisini reclusi da ormai due settimane nel centro di prima accoglienza di Lampedusa, senza nessuna convalida del giudice e dunque in modo del tutto illegittimo. Per il secondo giorno consecutivo, i tunisini hanno rifiutato in blocco il cibo chiedendo di essere rimessi in libertà. Oggi ci sono stati momenti di tensione con le forze dell'ordine, dopo che ieri sera un recluso era stato picchiato dai carabinieri.
Dopo le prime 48 ore di sciopero della fame, arrivano anche i primi malori. Almeno una decina avrebbero perso conoscenza. E prima che venissero portati in infermeria, ci sono stati momenti di tensione tra i reclusi e le forze dell'ordine che presidiano il centro di Contrada Imbriacola. Alla base dei disordini le richieste pressanti dei reclusi di far aprire la porta della sezione per ricoverare in infermeria i tunisini colpiti da malori per lo sciopero della fame.
Questa mattina si è sfiorato lo scontro, con i reclusi che lanciavano bottiglie d'acqua e scarpe contro gli agenti schierati al di là della recinzione in tenuta antisommossa. Segno che la tensione all'interno del centro sta crescendo. Anche perché mentre la protesta va avanti, non ci sono ad oggi interlocutori. La delegazione del consiglio d'Europa arrivata a Lampedusa lunedì si è limitata a un sopralluogo nell'ingresso del centro, ma quantomeno ha potuto parlare liberamente con alcuni dei reclusi, nei locali delle associazioni umanitarie che lavorano al centro.
In questo clima di tensione, ci è stato segnalato il pestaggio di un ragazzo tunisino, colpito ripetutamente ieri sera da alcuni agenti dei carabinieri, con calci e pugni alla schiena, dopo essere stato immobilizzato a terra, nei locali del centro. Questa è la testimonianza che ci ha fornito un testimone oculare. Il ragazzo era stato fermato ieri vicino al porto di Lampedusa con altri quattro tunisini, dopo che erano riusciti a allontanarsi dal centro.
Tutto questo accade, è bene ricordarlo, in un centro pensato e giuridicamente definito come struttura di primo soccorso e accoglienza, ma che di fatto è usato da settimane come un luogo di detenzione, ovvero come un centro di identificazione e espulsione (Cie). Anzi peggio, perché a differenza degli altri Cie, a Lampedusa non viene applicata la legge sull'immigrazione. Proprio così, visto che la legge prevede l'obbligo da parte del giudice di convalidare il trattenimento entro 48 ore dall'avvenuta comunicazione della privazione della libertà. Cosa che a Lampedusa non è mai accaduta. Nessuno dei 200 tunisini reclusi ha infatti mai incontrato un avvocato, né è mai passato davanti a un giudice per la convalida del trattenimento.
Infine, sempre secondo le nostre fonti, nel centro è anche negato anche il diritto di visita dei familiari. Alcuni dei trattenuti infatti sono sposati con cittadine europee, alle quali però è negato l'accesso al centro per visitare i propri cari. Ci sono stati segnalati casi di tunisini sposati con danesi, olandesi e francesi. Oltre al caso di un ragazzo il cui padre è residente proprio in Italia.
Dopo le prime 48 ore di sciopero della fame, arrivano anche i primi malori. Almeno una decina avrebbero perso conoscenza. E prima che venissero portati in infermeria, ci sono stati momenti di tensione tra i reclusi e le forze dell'ordine che presidiano il centro di Contrada Imbriacola. Alla base dei disordini le richieste pressanti dei reclusi di far aprire la porta della sezione per ricoverare in infermeria i tunisini colpiti da malori per lo sciopero della fame.
Questa mattina si è sfiorato lo scontro, con i reclusi che lanciavano bottiglie d'acqua e scarpe contro gli agenti schierati al di là della recinzione in tenuta antisommossa. Segno che la tensione all'interno del centro sta crescendo. Anche perché mentre la protesta va avanti, non ci sono ad oggi interlocutori. La delegazione del consiglio d'Europa arrivata a Lampedusa lunedì si è limitata a un sopralluogo nell'ingresso del centro, ma quantomeno ha potuto parlare liberamente con alcuni dei reclusi, nei locali delle associazioni umanitarie che lavorano al centro.
In questo clima di tensione, ci è stato segnalato il pestaggio di un ragazzo tunisino, colpito ripetutamente ieri sera da alcuni agenti dei carabinieri, con calci e pugni alla schiena, dopo essere stato immobilizzato a terra, nei locali del centro. Questa è la testimonianza che ci ha fornito un testimone oculare. Il ragazzo era stato fermato ieri vicino al porto di Lampedusa con altri quattro tunisini, dopo che erano riusciti a allontanarsi dal centro.
Tutto questo accade, è bene ricordarlo, in un centro pensato e giuridicamente definito come struttura di primo soccorso e accoglienza, ma che di fatto è usato da settimane come un luogo di detenzione, ovvero come un centro di identificazione e espulsione (Cie). Anzi peggio, perché a differenza degli altri Cie, a Lampedusa non viene applicata la legge sull'immigrazione. Proprio così, visto che la legge prevede l'obbligo da parte del giudice di convalidare il trattenimento entro 48 ore dall'avvenuta comunicazione della privazione della libertà. Cosa che a Lampedusa non è mai accaduta. Nessuno dei 200 tunisini reclusi ha infatti mai incontrato un avvocato, né è mai passato davanti a un giudice per la convalida del trattenimento.
Infine, sempre secondo le nostre fonti, nel centro è anche negato anche il diritto di visita dei familiari. Alcuni dei trattenuti infatti sono sposati con cittadine europee, alle quali però è negato l'accesso al centro per visitare i propri cari. Ci sono stati segnalati casi di tunisini sposati con danesi, olandesi e francesi. Oltre al caso di un ragazzo il cui padre è residente proprio in Italia.