Come sappiamo la censura in Italia è stata reistituita per circolare ministeriale dal primo aprile, ovvero da quando Maroni ha vietato l'accesso alla stampa nei centri di identificazione e espulsione (Cie). Quello che non sapevamo ancora però è che la censura avesse la forma di un fax. Proprio così, in questo paese ormai non c'è vergogna nemmeno a metterlo per iscritto. Stefano Liberti, giornalista del Manifesto e tra i promotori dell'appello Lasciateci entrare nei Cie, ci ha girato la risposta che ha ricevuto dalla Prefettura da Roma alla sua richiesta di accesso al Cie di Ponte Galeria. E lo stesso ha fatto Raffaella Cosentino, che si è vista negare l'ingresso al Cie di Roma e al Cara di Crotone. E altri quattro colleghi del nord - Vilma Mazza, Sara Castelli, Orsola Casagrande e Nicola Grigion - che si sono visti negare l'ingresso nel Cie di Gradisca. La procedura è sempre la stessa. A Roma ad esempio, il dirigente d'area, Paola Varvazzo, cita a Liberti la famosa direttiva 1305 del primo aprile, elenca i soggetti accreditati e quindi si "spiace", perché i giornalisti non rientrano "tra i soggetti sopraelencati" e dunque non può accettare la sua richiesta di accredito. Leggete con i vostri occhi.
In ragione di ciò, non rientrando la S.V. tra i soggetti sopraelencati, spiace dover comunicare che la richiesta di accesso al Cie non può essere accolta"
E si dice dispiaciuto pure il viceprefetto aggiunto della Prefettura di Gorizia, Fabrizio Di Stefano, che grazie alla circolare 1305 ha potuto rifiutare l'ingresso a ben quattro giornalisti: Vilma Mazza, Sara Castelli, Orsola Casagrande e Nicola Grigion. Saranno contenti a Roma, così nessuno potrà vedere come è ancora oggi ridotto il Cie di Gradisca dopo le rivolte di marzo, le cui uniche immagini abbiamo diffuso a suo tempo su questo sito.
Un po' più vago invece il viceprefetto aggiunto di Crotone, Micucci, che sempre a Raffaella Cosentino ha rifiutato l'ingresso al Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Crotone. Anche qui non si capisce. Mentre infatti nei centri di espulsione la situazione è veramente al collasso, nei Cara invece spesso la situazione è migliore. E poi gli ospiti dei Cara sono liberi di uscire e circolare liberamente sul territorio, quindi con i giornalisti possono parlarci appena fuori dal cancello delle strutture, perché vietare l'ingresso alla stampa allora?
In tutto questo a sconcertarmi è la banalità della censura. Ci abbiamo messo soltanto 45 giorni a farci l'abitudine. Da quando lo scorso primo aprile Maroni ha vietato alla stampa l'ingresso nei Cie. Un provvedimento tanto illegale quanto immediatamente accettato, al punto che lo si cita per iscritto con il solito burocratese, come se fosse una norma qualunque. Aggiungendo però che gli spiace. Una volta almeno si inventavano delle balle. L'accredito era a discrezione dei Prefetti, e se non volevano farti entrare dicevano che c'erano lavori in corso, o che era assente il dirigente d'area o semplicemente di richiamare dopo una settimana per prendere tempo. Ad ogni modo non stiamo a guardare. E pure se siamo in pochi, continuiamo a fare rumore. Anche perché nel frattempo il nostro appello contro la censura è arrivato in parlamento.
Esattamente le stesse parole che aveva ricevuto lo scorso 17 maggio un'altra collega, Raffaella Cosentino, free lance e collaboratrice di Repubblica.it e Redattore Sociale, anche lei tra le prime firmatarie di questo appello, a cui la prefettura di Roma aveva scritto, testuali parole:
"Gentile dott.ssa Cosentino
la Circolare a firma del Ministro dell’Interno, prot. n. 1305 del 01.04.2011, inerente l’accesso ai Centri per immigrati, consente, fino a nuova disposizione, l’ingresso alle predette struttureesclusivamente a soggetti pubblici ( ad es. Organismi internazionali quali OIM – CRI – Amnesty International, Caritas, ecc.). e a individui singoli ( Parlamentari europei, Deputati e Senatori della Repubblica e Consiglieri regionali).In ragione di ciò, non rientrando la S.V. tra i soggetti sopraelencati, spiace dover comunicare che la richiesta di accesso al Cie non può essere accolta"
E si dice dispiaciuto pure il viceprefetto aggiunto della Prefettura di Gorizia, Fabrizio Di Stefano, che grazie alla circolare 1305 ha potuto rifiutare l'ingresso a ben quattro giornalisti: Vilma Mazza, Sara Castelli, Orsola Casagrande e Nicola Grigion. Saranno contenti a Roma, così nessuno potrà vedere come è ancora oggi ridotto il Cie di Gradisca dopo le rivolte di marzo, le cui uniche immagini abbiamo diffuso a suo tempo su questo sito.
Un po' più vago invece il viceprefetto aggiunto di Crotone, Micucci, che sempre a Raffaella Cosentino ha rifiutato l'ingresso al Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Crotone. Anche qui non si capisce. Mentre infatti nei centri di espulsione la situazione è veramente al collasso, nei Cara invece spesso la situazione è migliore. E poi gli ospiti dei Cara sono liberi di uscire e circolare liberamente sul territorio, quindi con i giornalisti possono parlarci appena fuori dal cancello delle strutture, perché vietare l'ingresso alla stampa allora?
In tutto questo a sconcertarmi è la banalità della censura. Ci abbiamo messo soltanto 45 giorni a farci l'abitudine. Da quando lo scorso primo aprile Maroni ha vietato alla stampa l'ingresso nei Cie. Un provvedimento tanto illegale quanto immediatamente accettato, al punto che lo si cita per iscritto con il solito burocratese, come se fosse una norma qualunque. Aggiungendo però che gli spiace. Una volta almeno si inventavano delle balle. L'accredito era a discrezione dei Prefetti, e se non volevano farti entrare dicevano che c'erano lavori in corso, o che era assente il dirigente d'area o semplicemente di richiamare dopo una settimana per prendere tempo. Ad ogni modo non stiamo a guardare. E pure se siamo in pochi, continuiamo a fare rumore. Anche perché nel frattempo il nostro appello contro la censura è arrivato in parlamento.