08 March 2011

Telefonata a Zawiyah. Libici pronti a resistere. No alla guerra umanitaria!

Ho appena riagganciato il telefono con un amico libico di Tripoli, che nonostante gli scontri a fuoco quest'oggi è riuscito a entrare nella città di Zawiyah, dove da giorni si registrano scontri tra i mezzi dell'artiglieria pesante dell'esercito libico e la popolazione insorta, e a uscirne indenne. Mi ha descritto scene di devastazione. Le piazze, i muri, le strade, tutta la città è segnata dai colpi delle granate e dei proiettili. I feriti sarebbero molti, ma non è stato in grado di darmi delle cifre certe e ci sarebbero anche dei morti. Tuttavia la città sarebbe ancora in mano agli insorti.

La strategia dell'esercito libico sarebbe quella di sferrare attacchi lampo e poi ritirarsi dal perimetro della città. In città sono rimasti soltanto gli uomini per combattere mentre, a suo dire, donne, bambini e anziani avrebbero riparato nelle fattorie della campagna intorno alla cittadina. La città è completamente circondata dalle forze di Gheddafi e adesso è anche isolata. Non c'è acqua corrente, elettricità nè linea telefonica. Gli ospedali sarebbero in grande difficoltà perché ormai privi di rifornimenti medici. In città inizierebbe ormai a scarseggiare anche il cibo. E il grosso problema sarebbe la possibilità di spostarsi, sotto il continuo tiro al bersaglio dei cecchini appostati sui tetti dei palazzi nei punti principali della città. Anche per questo è difficile sapere quanti siano i feriti, perché molti di loro non sono nelle condizioni di poter raggiungere l'ospedale. Inoltre i manifestanti non hanno armi di grosso calibro. La manifestazione a Zawiyah, ci informa la nostra fonte, era nata in modo pacifico, e le uniche armi a disposizione sono quelle confiscate all'esercito di Gheddafi. Ad ogni modo il morale sarebbe alto. Nel senso che la popolazione sarebbe pronta a proseguire gli scontri fino alla fine. Alla comunità internazionale non chiedono un'invasione militare né una guerra contro Gheddafi. Dicono che ce la possono fare da soli. Ma chiedono con forza l'interdizione dell'aviazione di Gheddafi con una no fly zone. Tutti infatti temono che Gheddafi possa dare l'ordine ai suoi piloti di bombardare i ribelli. E chiedono di aprire un corridoio umanitario verso Zawiyah per evacuare i feriti e rifornire di medicinali gli ospedali.

La stessa fonte ci informa che anche a Tripoli buona parte della popolazione sosterrebbe la rivoluzione. Dice di non farsi ingannare dalle immagini delle manifestazioni. Lui personalmente ha avuto modo di parlare con un ragazzo di quindici anni che aveva partecipato al sit in pro Gheddafi che gli ha detto di essere stato pagato per andare in piazza. Si tratterebbe in buona parte di abitanti dei quartieri poveri, soprattutto di Abu Selim, reclutati per mostrare un sostegno al regime che di fatto non c'è più. Intanto in questi giorni a Tripoli sembrerebbe essere tornata la calma, dopo le sparatorie della settimana scorsa. E davanti alle banche si sono formate code di gente in fila per ritirare i 500 dinari stanziati dal regime per ogni famiglia. Intanto però resta alta la tensione. Di fatto, secondo il nostro interlocutore, la gente a Tripoli sta aspettando di vedere gli sviluppi nella parte orientale del paese, pronta a tornare in piazza non appena arrivino notizie positive dell'avanzamento dei ribelli verso la capitale. Ad aumentare le difficoltà di organizzazione delle proteste ci sarebbe inoltre la mancanza di connessione. Oggi a Tripoli è il sesto giorno che non si riesce a collegarsi a internet dalla rete telefonica, neanche con i server proxy.


Uso il condizionale in tutte queste affermazioni perché non essendo sul posto è difficile verificare, pur riponendo la massima fiducia nella fonte citata, trattandosi di un esponente dell'opposizione berbera, da anni impegnato nell'attività di opposizione al regime libico. L'impressione infatti è che l'approssimazione di certo giornalismo, unitamente alla ricerca della scoop e alla strumentalizzazione di certi poteri politici, stia portando a una distorsione dei fatti, che prepara il terreno alla giustificazione di una ennesima guerra umanitaria, guarda caso in un paese dove si giocano gli interessi petroliferi di molti paesi, Italia compresa. Così le stragi dei ribelli, un migliaio di morti in tutto il paese dall'inizio della rivoluzione, diventano un genocidio. Una decina di tombe di un cimitero non meglio identificato diventano una fossa comune. Qualche migliaio di tunisini arrivati a Lampedusa diventano l'invasione dalla guerra civile in Libia (ad oggi nessun libico è giunto a Lampedusa, vale la pena ricordarlo). Mettere in guardia dai rischi di una guerra umanitaria non significa non condannare le violenze del regime libico, che al contrario Fortress Europe denuncia da cinque anni. Come pure non significa appellarsi all'immobilismo internazionale. Ma tra il non fare niente e il dichiarare guerra alla Libia, ci sono molte strade intermedie. Soprattutto se il fronte degli interventisti è formato dagli stessi politici e affaristi che fino a ieri flirtavano con Gheddafi. E che in testa hanno un solo obiettivo: difendere i propri interessi strategici.