PALERMO - Le violente polemiche innescate dal centro-destra contro la chiesa, ed i continui tentativi di depistaggio dell’opinione pubblica su temi assai rilevanti come la bioetica e la salute riproduttiva, vorrebbero lasciare nell’ombra gli abusi e le illegalità che il governo italiano ed i suoi agenti continuano a commettere ai danni dei migranti, anche nello stesso giorno nel quale Berlusconi vola in Libia per festeggiare con Gheddafi il primo anniversario del “Trattato di amicizia tra Italia e Libia”, un trattato che disonora chi lo ha firmato e chi se ne fa oggi silenzioso esecutore.
Secondo il governo italiano, messo di fronte alle critiche proveniente dalla sua stessa maggioranza, “il premier va da Gheddafi solo per celebrare il Trattato Italia-Libia”. Un Trattato che, nella sua concreta attuazione, anche al di là di quanto previsto nei Protocolli operativi sottoscritti a Tripoli nel 2007 dal capo della polizia Manganelli, ai quali fa espresso riferimento, se ha sortito l’effetto di ridurre i cd. "sbarchi di clandestini”, ha chiuso la porta in faccia a migliaia di richiedenti asilo e ha stabilito regole di ingaggio da parte delle unità militari dislocate nel Canale di Sicilia, che hanno prodotto respingimenti illegali, ripetute omissioni di soccorso e stragi e abusi senza fine, a mare come nelle prigioni libiche. Ancora nel giorno del viaggio di Berlusconi a Tripoli le unità militari italiane hanno respinto in Libia un gommone carico di migranti provenienti dal Corno d’Africa ( soprattutto somali ed eritrei), prima “assistito”e scortato da mezzi militari maltesi e poi, ancora una volta, quando era già al limite delle acque di competenza italiana, 24 miglia a sud di Capo Passero, in Sicilia, oggetto di un respingimento collettivo, vietato da Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia. Convenzioni che dovrebbero essere vincolanti per i ministri come per gli agenti istituzionali e gli ufficiali di collegamento ai quali si affida l’esecuzione delle operazioni di respingimento.
Non si hanno invece notizie di un'altra imbarcazione con circa 150 migranti che sarebbe partita alcuni giorni fa dalle coste libiche. L'allarme è stato lanciato da un immigrato somalo rinchiuso nel centro di detenzione di Safi a Malta, che venerdì scorso ha ricevuto una telefonata. Le autorità maltesi hanno detto di non avere intercettato fino ad ora sui radar l'imbarcazione. Si prospetta un'altra tragedia coperta dal silenzio delle autorità di polizia.
L’art. 12 del Codice delle frontiere Schengen prevede che le autorità di polizia possano bloccare i migranti che tentano di entrare nel territorio di uno stato Schengen, ma secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia questo potere non può essere esercitato in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali va annoverato il diritto di chiedere asilo ed il diritto a non subire respingimenti collettivi. Chiunque venga raccolto a bordo di una unità battente bandiera italiana in attività di controllo delle frontiere marittime, si trova in territorio italiano e se fa richiesta di asilo, o se si tratta di un minore, non può essere riconsegnato alle autorità di un paese terzo come la Libia, soprattutto quando non può essere stabilita la esatta provenienza delle persone raccolte in mare. Chi contravviene queste regole viola il diritto internazionale e questa stessa violazione andrebbe sanzionata anche dal giudice penale quanto meno come abuso di ufficio, se non come omissione di soccorso o vero e proprio sequestro di persona.
La direttiva comunitaria sulle procedure di asilo e la normativa italiana di attuazione, il decreto legislativo 25 del 2008, pur modificato dal decreto Maroni dello stesso anno, impediscono alla autorità di polizia di frontiera, e dunque anche ai militari imbarcati sulle motovedette che effettuano i pattugliamenti nel canale di Sicilia, qualunque valutazione sulla ammissibilità delle persone alla procedura di asilo. L’art. 10 del Testo Unico sull’immigrazione prevede che non può essere respinto chi per esigenze di soccorso viene ammesso nel territorio nazionale , come lo sono le unità militari battenti bandiera italiana ovunque operino, oppure quando si manifesti con qualunque modalità la volontà di chiedere di asilo. E che nessuno ripeta la solita menzogna, contenuta in tante relazioni di servizio della polizia di frontiera, che in mare nessuno fa richiesta di asilo, perché dai racconti di decine di naufraghi si può ricavare come questi manifestino subito dopo il salvataggio, in modo inequivoco, la volontà di entrare in Italia per presentare richiesta di asilo, ma sono invece le autorità militari che ignorano queste richieste, magari approfittando dell’assenza di interpreti ufficiali, e riconducono in Libia persone che in quel paese ritorneranno a subire abusi e violenze di ogni genere.
Il principio di non refoulement (non respingimento), sancito dalla Convenzione di Ginevra, vale anche in acque internazionali, ed anche quando c’è il rischio che le persone respinte verso un paese terzo come la Libia siano successivamente deportate verso i paesi di origine nei quali possono subire arresti arbitrari, torture o altri trattamenti disumani o degradanti. Come è noto il leader libico Gheddafi è un grande amico ( oltre che di Berlusconi) del dittatore eritreo e la Libia deporta in Eritrea centinaia di giovani fuggiti per sottrarsi al carcere a tempo indeterminato che in quel paese sanziona chi non vuole subire la leva obbligatoria ( anche per le donne). Carcere e torture sono confermati dai giovani della diaspora eritrea che hanno raggiunto l’Europa ed hanno ottenuto il riconoscimento dello status di asilo.
Negli ultimi tragici sbarchi in Sicilia la maggior parte delle persone provenivano da paesi come la Somalia e l’Eritrea, ed anche nei casi di respingimento verso la Libia, malgrado la censura imposta dalle autorità italiane, si osserva la stessa composizione dei migranti ammassati nei gommoni, ed è in aumento la percentuale di donne, vittima di abusi in Libia, e per questo in stato di gravidanza, e di minori non accompagnati. Respingere queste persone non è solo disumano, come sono disumani i protagonisti politici ed i fedeli esecutori militari di questi ordini vergognosi, ma viola consolidati principi di diritto internazionale e comunitario, e dovrebbe per questo essere sanzionato anche a livello interno. Le autorità italiane hanno dimostrato di non essere in grado di garantire in alcun modo il rispetto dei diritti umani dei migranti nei paesi di transito in Nord-africa (dunque anche in Algeria, Tunisia ed Egitto, oltre che in Libia), ed il viaggio di Berlusconi da Gheddafi, proprio nel giorno dell’ennesimo respingimento illegale verso la Libia conferma la complicità , se non la diretta partecipazione, del governo italiano e di suoi agenti istituzionali agli abusi subiti dai migranti in quel paese.
L’opinione pubblica italiana è sempre più spiazzata da continui diversivi, da allarmismi seguiti da fasi di rassicurazione, e da un disegno organico, di natura eversiva, che vorrebbe imbavagliare la libera stampa ed eliminare le voci scomode che ancora riescono a produrre dissenso. Le polemiche che hanno caratterizzato il dibattito sulla opportunità del viaggio di Berlusconi in Libia si sono concentrate soprattutto sull'accoglienza trionfale riservata da Tripoli a Abdelbeset al-Megrahi, condannato all'ergastolo per la strage di Lockerbie, ma non si è avvertito lo stesso sdegno per le gravissime violazioni dei diritti umani, in particolare a danno dei migranti, ascrivibili alla dittatura libica ed alle forze militari ed agli ufficiali di collegamento dei paesi che ne supportano, come l’Italia e Malta, l’operato.
Una certa “sinistra”, corresponsabile in passato degli accordi con la Libia, pur criticando la visita, si è limitata a chiedere a Berlusconi “di approfittare dell'occasione «per chiedere a Gheddafi di rispettare i diritti umani nel suo Paese, di dare assistenza agli immigrati che arrivano dall'Africa e di risolvere una volte per tutte la questione dei beni sequestrati agli italiani”. Questioni certo meritevoli di un “richiamo” ma, se non si sarà capaci di fare chiarezza sugli errori commessi negli anni passati proprio dalla “sinistra di governo”, e poi durante il voto sul Trattato di amicizia con la Libia, non ci saranno margini per una opposizione efficace ( e ,come occorrerebbe, unitaria) contro le nuove prassi concordate di cooperazione di polizia, inaugurate dal governo a partire dal 15 maggio scorso.
Vorremmo proprio sapere come si è potuto arrivare ad un voto bipartisan, lo scorso febbraio, quando il Parlamento ha ratificato a larghissima maggioranza il Trattato di amicizia tra Italia e Libia, e crediamo che quanti hanno votato a favore di quel Trattato dovrebbero oggi ammettere pubblicamente che da quel voto sono derivate le tragedie ed i respingimenti collettivi illegali di queste settimane, piuttosto che esercitarsi in sterili moralismi.
Non occorre certo ricordare ancora il ruolo di Gheddafi come “fiancheggiatore” del terrorismo internazionale negli anni ’80, o sottolineare il rischio di affidare al dittatore libico, noto per le sue politiche basate sul ricatto, un ruolo primario nelle forniture di gas e petrolio. Presto gli italiani saranno chiamati a pagare un costo assai elevato per i capricci del dittatore libico, ed i pescatori di Mazara del Vallo, che si vedono sequestrate le loro imbarcazioni in acque internazionali, hanno già capito da tempo quanto gravi possano essere gli effetti collaterali del patto di amicizia tra Berlusconi e Gheddafi.
Si dovrebbe invece ricordare a tutti, anche a coloro che lo hanno votato in Parlamento, che il “costo” del Trattato di amicizia italo libico non è quantificabile soltanto in termini monetari, ma comprende anche la legittimazione di un metodo di contrasto dell’immigrazione irregolare che si spinge fino alla tortura di quanti vengono arrestati e detenuti, donne e minori compresi, ed alla morte delle vittime, abbandonate al loro destino in mare aperto, quando non è possibile respingerle verso i porti libici.
Se un sistema economico si basa su violazioni reiterate dei diritti fondamentali delle persone, allora si può parlare a ragione di dittatori. A qualcuno tutto questo potrà sembrare normale, comunque tollerabile in nome di una difesa dei privilegi quotidiani che sono sempre più a rischio per effetto della crisi economica. Noi diciamo ancora una volta no ed utilizzeremo tutti gli strumenti legali per denunciare queste violazioni. Ma le denunce non bastano più. Occorre che le famiglie residenti in Europa dei migranti, vittime di deportazione in Libia, si organizzino e preparino una denuncia collettiva al Comitato per la prevenzione della Tortura (CPT) delle Nazioni Unite, alla Commissione Europea ed alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, anche al posto dei loro congiunti che non possono sottoscrivere una procura perché dispersi in Libia, oppure perché non ci sono più, uccisi in Africa o abbandonati a morire nelle acque del Canale di Sicilia.
Quello che dovrebbe indignare gli italiani, e che dovrà essere al centro di mobilitazioni diffuse nei prossimi mesi, non è la liberazione anticipata di un detenuto in fin di vita, ma la sfrontata arroganza di Berlusconi e di Gheddafi nel fare della menzogna un metodo di governo, e nel calpestare le decisioni di autorità internazionali come il Tribunale penale internazionale (bersaglio preferito di Gheddafi) e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( snobbata dall’Italia che disattende sistematicamente le sue decisioni) . Si può così parlare di pace e fare la guerra ai migranti, negare l’esistenza dei richiedenti asilo, in Libia o nelle acque del canale di Sicilia, solo perché le polizie dei due stati -in stretta collaborazione- impediscono loro di accedere ad una procedura di protezione internazionale. Berlusconi e Gheddafi si abbracciano sulla base di una rivisitazione della storia ad uso e consumo degli interessi economici, non delle popolazioni, ma dei gruppi finanziari più forti, e perfezionano le intese per utilizzare gli immigrati come una merce di scambio, nelle acque del canale di Sicilia, come nei lager libici o nei cantieri e nelle campagne italiane, considerando la persona migrante allo stesso rango di un servo o di uno schiavo.
Un abbraccio sporco del sangue delle vittime, quelle vittime senza volto che non compariranno mai nelle fotografie ufficiali, ad uso e consumo degli agenti che le hanno scattate, ma che i magistrati italiani che indagano sui casi di omissione di soccorso nel Canale di Sicilia farebbero bere a considerare, senza fermarsi davanti ad una immagine sfocata di un gommone in alto mare. Ed altre recenti fotografie confermano che su quei gommoni si viaggia in 70-80 persone, circostanza questa negata, dopo la strage degli eritrei, dal ministro Maroni. Fotografie, quella dei cinque eritrei superstiti e quella diffusa oggi del gommone dei migranti riconsegnati ai libici dalla Guardia di Finanza, sulle quali in tanti farebbero bene a riflettere, mentre Berlusconi, accompagnato dalle Frecce Tricolori, abbraccia Gheddafi e programma nuove “manovre militari congiunte”.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo