Fortezza Europa. Spagna, Italia, Malta e Grecia potranno presto contare sull’appoggio di squadre specializzate di intervento rapido. 450 uomini messi a disposizione dai 27 Stati membri, pronti ad essere mobilitati sui punti caldi della frontiera sud. Lo ha deciso in via definitiva il Parlamento europeo, che ha anche aggiunto 10 milioni di euro ai 34 del bilancio Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione. Ad oggi Frontex conta su 116 navi, 27 elicotteri, 21 aerei e 400 veicoli radar. Messi a disposizione dagli Stati volenterosi, serviranno a sigillare la frontiera, con una 30 operazioni pronte a partire con la bella stagione. Nel Canale di Sicilia tutto dipende dalla volontà della Libia di partecipare o meno ad operazioni congiunte, visto il suo rifiuto lo scorso anno. Intanto Malta e Grecia hanno chiesto a Frontex un finanziamento per Nautilus 2, il proseguio dell’omonima operazione dell’ottobre 2006, costata 1,2 milioni di euro in 15 giorni. Una risposta è attesa a breve, e se Malta non è in grado di dare nessuna garanzia sul diritto d’asilo e deportazioni in Paesi terzi, poco importa.
Nel frattempo alle Canarie, ultimo atto della militarizzazione delle frontiere spagnole, è stato installato il Sive (Sistema integrato di vigilanza esterna) sull’isola di Lanzarote. Nel giro di due anni tutto l’arcipelago ne sarà dotato. Il sistema - già montato nel 2003 lungo lo stretto di Gibilterra per una spesa di 120 milioni di euro - intercetta una barca fino a 30 miglia dalla costa. L’installazione del Sive porterà 6 milioni di euro nelle casse della Tecosa, azienda controllata dal gruppo Siemens, specializzata in tecnologie del controllo delle frontiere.
Dead or alive. I pattugliamenti Frontex non serviranno a bloccare gli sbarchi. Partire in piroga è l’unica carta da giocare per migliaia di giovani per i quali non esiste nessuna possibilità di avere un visto d’ingresso per l’Unione europea. In Senegal già fervono i preparativi per la buona stagione. E chi sbarca alle Canarie racconta di viaggi sempre più lunghi per evitare i pattugliamenti di Frontex, che in due mesi di attività hanno respinto in mare 1.167 giovani migranti. Dei 20 morti ad Aprile sulle rotte per l’arcipelago spagnolo, nessuno è annegato. Sono tutti morti di ipotermia e disidratazione, dopo viaggi lunghi 8-10 giorni, addirittura 28, su rotte che ormai, lo dice la Guardia costiera italiana, passano a 300 miglia dalla costa africana. La lista è lunga. 30 aprile, muore all’ospedale di Las Palmas un uomo sbarcato il giorno prima. 28 aprile, 3 morti su una piroga a Lanzarote. 26 aprile, 2 morti su una piroga a Tenerife. 23 aprile, 13 morti su una piroga alla deriva in acque mauritane. 5 aprile, 2 morti su una piroga soccorsa nel Sahara occidentale.
Sulla piroga soccorsa il 23 aprile al largo di Nouadhibou, viaggiavano anche 13 passeggeri in gravi condizioni di salute. Per essere ricoverati hanno dovuto invertire rotta, 600 km a sud, fino a Dakar, in Senegal. La Mauritania non autorizzava lo sbarco. A Nouadhibou, dove continuano ad essere detenuti 23 dei 400 passeggeri del Marine I, ormai da quasi tre mesi, i clandestini non li vuole nessuno.
Made in Africa. Bebé de Mamatou Hamidou Djob. Bebé de Antonia Andrew. Bebé de Jackson Katrine. La parola bebé ritorna ossessiva sei volte nella lista redatta da Afvic (Associazione amici e famiglie delle vittime dell’immigrazione clandestina). I genitori non hanno avuto nemmeno il tempo di dare loro un nome. Sono morti a poche ore dalla nascita. I loro corpicini sono abbandonati insieme a quelli di 12 adulti in due obitori di Casablanca. Morte naturale. Nigeriani, ivoriani, maliani, congolesi. Clandestini. Stanno lì da mesi, qualcuno da un anno. Anche da morti si rimane clandestini. Nessuno ha i contatti per avvisare le famiglie dei defunti a sud del Sahara, e le autorità non sembrano disposte a spendere un dirham per la loro sepoltura, di cui la rete delle associazioni subsahariane in Marocco si sta facendo carico. Papà e mamma nel frattempo rischiano ogni giorno di essere arrestati e deportati da Casablanca e Rabat a Oujda, frontiera con l’Algeria, dove vivono, secondo l’associazione Beni Znassen, più di 700 deportati, nascosti nelle vallate tra Oujda e Berkan, senza accesso al mercato del lavoro e ai servizi di cura, braccati. E il 27 aprile a Oujda sono stati deportati 6 migranti sub-sahariani arrestati a Rabat, tra cui Adama Keita, un rifugiato politico ivoriano sotto la protezione dell’Alto commissariato dei rifugiati delle Nazioni Unite. Nazioni Unite che, come già durante le deportazioni di massa del Natale 2006, continuano a mostrarsi impotenti di fronte all’ennesima violazione del diritto d’asilo in Marocco. Da un po’ di tempo un clandestino ha meno diritti in Africa che in Europa; da quando i Paesi del Maghreb si sono eretti a gendarmi delle frontiere dell’Ue.
La caccia all’uomo. Al Murtala Muhammed di Lagos, Nigeria, sono atterrati la notte di giovedì 5 aprile. 500 persone, la maggior parte donne, non pochi bambini. Finisce qui il calvario degli ultimi deportati nigeriani dalla Libia di Qaddafi. Denunciano il trattamento disumano riservato loro dalle autorità libiche. Un deportato dice di essere stato torturato dalle guardie libiche in carcere. E un uomo dichiara di aver passato quattro anni in carcere prima di essere deportato. I loro beni sono stati confiscati dagli agenti al momento dell’arresto e nessuno ha avuto modo di difendersi legalmente contro la deportazione. Dall’inizio del 2007 Tripoli ha espulso 1.100 nigeriani. Da metà settembre gli stranieri deportati dalla Libia, secondo le notizie disponibili, sono almeno 11.000. Ma secondo quanto dichiarato dai deportati nigeriani, le carceri libiche sono ancora affollate. Da marzo 2007 per entrare in Libia serve un visto d’ingresso anche per i cittadini africani. Qaddafi aveva dato un ultimatum agli stranieri irregolari presenti sul territorio. E adesso il timore è che possa scattare una vera e propria caccia all’uomo. Le cifre degli arresti non sono rassicuranti, specie alla luce delle condizioni delle carceri libiche, già denunciate dall'Ue, da Human Rights Watch e da Afvic.
Viaggio a Tripoli. Tutto questo sembra non preoccupare affatto il ministro degli esteri italiano Massimo D’Alema, che il 9 aprile ha incontrato Qaddafi a Tripoli. Dopo tutto l’Italia ha finanziato tre delle carceri libiche per i migranti, a Kufrah, Sebha e Gharyan. Ma la stagione degli sbarchi è vicina. Lo dicono i recenti arrivi in Sicilia, Calabria e Sardegna. E tra poco il traffico aumenterà, gonfiato dal clima di allarmismo creato dai mass media. E allora l’Italia e l’Europa, nella mera contabilità degli sbarchi, non potranno non applaudire alle cifre di Tripoli. Il fine giustifica i mezzi. Agli harrag di mezza Africa, braccati nei quartieri popolari del litorale tra Misratah e Zuwarah, non rimane che gettarsi in mare - costi quel che costi - pur di non essere rispediti in prigione, derubati, torturati per mesi e poi deportati.