14 May 2008

Riprende il processo ai tunisini per il salvataggio in mare

ROMA, 14 maggio 2008 - Riprende a Agrigento il processo contro i sette pescatori tunisini accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina per aver salvato la vita a 44 naufraghi nel Canale di Sicilia, 30 miglia al largo di Lampedusa, lo scorso 8 agosto 2007. Il collegio giudicante torna sui suoi passi e ammette la contestazione di due nuovi reati: "minaccia e violenza a nave da guerra" (ex articolo 1100 del codice di navigazione) per i due comandanti e "resistenza a pubblico ufficiale" (ex articolo 337 del codice penale) per tutti gli altri. Una richiesta che era già stata presentata dal pm Santo Fornasier lo scorso 20 settembre ma che allora venne rigettata dalla Corte. Corte che invece non ha ancora sciolto il riserbo sulla richiesta della difesa di ascoltare le testimonianze dei medici di Medici Senza Frontiere che visitarono i naufraghi appena giunti a Lampedusa. Una testimonianza ritenuta fondamentale dalla difesa per dimostrare le precarie condizioni di salute dei passeggeri a bordo del gommone, che resero necessari i soccorsi dei pescatori.

E a sostegno delle tesi della difesa giunge anche una perizia effettuata sulle chiamate effettuate dal telefono satellitare Thuraya in possesso dei naufraghi. Già alle 7:06 di quella mattina, quando il gommone già semiaffondato non era più in condizioni di navigare, uno dei passeggeri chiama un cittadino eritreo residente a Chiaromonte Gulfi, in provincia di Ragusa. Ma la linea cade dopo solo 44 secondi. Due ore dopo un'altra telefonata. Alle 9:02 squilla il telefono di un altro eritreo, H., a Bologna. H. conosce uno dei passeggeri. Prima della partenza del gommone, ha chiamato un'utenza libica il 3, 4 e il 5 agosto. Quel passeggero gli chiede aiuto. Dopo una serie di telefonate, H. recupera il numero di emergenza della Guardia Costiera e telefona al 1530. Sono le 9:52. Quindici minuti dopo, alle 10:06 la Capitaneria di porto di Palermo telefona a H. per avere maggiori informazioni sui naufraghi. Sul luogo del naufragio i tunisini arriveranno soltanto alcune ore più tardi, per caso. E alle 15:15 il Centro di coordinamento per il soccorso in mare (MRCC) di Tunisi invierà un fax all'MRCC di Roma segnalando di aver ricevuto un sos dai pescherecci tunisini "Morthada" e "Mohammed el-Hedi" che dichiarano di aver soccorso 44 naufraghi bisognosi di un medico.

La nave Vega della marina militare italiana arriva sul posto alle 18:14. I pescherecci con i naufraghi a bordo si trovano a 14 miglia da Lampedusa, a sole 2 miglia dalle acque territoriali italiane. Il medico della Vega abborda su un gommone i due pescherecci, ma non sale a bordo. Si limita a prendere in braccio un bambino disabile di 9 anni sull'Hedi e a chiedere ai passeggeri del Morthada se qualcuno stia poco bene. Sono le 18:25. Il mare è forza 4, le onde sono alte due metri. Alle 18:50 la nave Vega si allontana, e i pescherecci fanno rotta su Lampedusa, affiancati da due motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. Gli agenti italiani, ha raccontato un testimone sudanese esaminato dalla Corte, avrebbero fatto cenno con ampi gesti delle braccia di dirigersi verso l"isola, raggiunta in un paio d’ore. Intanto però, sul canale radio 16, dedicato alle emergenze, viene intimato ai pescatori, ma solo in italiano e inglese, di invertire rotta perché non autorizzati ad entrare nelle acque territoriali italiane. Poi l’arrivo a terra e l’arresto in flagranza di reato.

La prossima udienza è fissata al 16 giugno 2008. E il processo sembra destinato a durare ancora a lungo. Intanto le famiglie dei sette pescatori sono in ginocchio. Da agosto infatti i pescherecci sono sotto sequestro e i marinai non possono lavorare. Intanto sulle coste della cittadina dove vivono, a Teboulba, il 10 maggio scorso si è consumato l'ennesima tragedia dell'immigrazione. Le vittime sono almeno 50, ivoriani, somali, nigeriani e camerunesi. Erano partiti in 66 dalla città libica di Zuwarah. Ma dopo cinque giorni alla deriva in 47 sono morti di stenti. I compagni di viaggio hanno abbandonato in mare i loro corpi. I resti di altre tre vittime sono stati recuperati dalle autorità tunisine che hanno confermato il naufragio. I 16 superstiti saranno adesso espulsi, come di routine, alla frontiera libica. Quello stesso giorno la Lega tunisina dei diritti umani aveva deposto in mare una corona di fiori a Monastir al termine di una cerimonia alla memoria delle vittime dell'immigrazione