18 August 2008

Pestato dalla polizia greca, rifugiato afgano rischia di tornare ad Atene

Foto di guerriglieri talibanBARI - La foto è un po' sbiadita, ma si distinguono chiaramente quattro uomini e il vecchio carro armato. S. indica con l’indice suo fratello. Combatteva nell’esercito dei taliban. Per questo l’hanno ammazzato, dice. S. è nato e cresciuto nella città di Jalalabad, in Afghanistan. Parla pashtun, ha da poco compiuto 20 anni. Da tre anni è in esilio. Oggi si trova al Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari. Il passato del fratello maggiore ha condannato tutta la famiglia. S. dice di non avere più nessuno. Si rimbocca i pantaloni fino a farmi vedere una brutta cicatrice larga otto centimetri, sulla gamba destra, sopra il ginocchio. È una scheggia della bomba con cui hanno fatto saltare la casa, dice. Sotto il ginocchio ci sono altre cicatrici. Macchie marroni, su entrambe le caviglie e le tibie. Souvenir della Grecia. Indicano i punti dove il manganello ha colpito con più forza. È successo lo scorso febbraio, sull’isola greca di Simi, nel mar Egeo.


L’esilio di S. è iniziato in Pakistan, poi in Iran. Finché anche lui ha scelto la via per l’Europa, attraversando Turchia e Grecia, per poi arrivare in Italia. Dalla Turchia si è imbarcato a Marmaris con altre 70 persone. Nella piccola isola greca non ci sono centri di prima accoglienza. Così il gruppo è stato tenuto in una stanza del commissariato di polizia. "Non ci hanno dato niente da mangiare né da bere, per i tre giorni che siamo rimasti”, racconta S. a sei mesi di distanza. E aggiunge: “Quando chiedevamo da mangiare, ci dicevano di mangiare il loro pene”. Poi gli agenti hanno iniziato a prendere le impronte digitali. S. ha rifiutato. Non voleva rimanere in Grecia, altri afgani gli avevano detto di non farsi prendere le impronte. È allora – dice - che un agente ha iniziato a picchiarlo ripetutamente, con il manganello, sulle gambe. La sua storia è confermata dalle cicatrici su tibie e malleoli.

Cicatrice sulla cavigliaUna volta portato ad Atene con un foglio di via, S. è riuscito a raggiungere l’Italia, nascosto su un camion. Ma sei mesi dopo quelle impronte digitali sono tornate a galla. E hanno bloccato l’iter della sua domanda d’asilo. Sul suo destino deciderà l’Unità Dublino del Ministero dell’Interno. Il regolamento Dublino II impone che la sua domanda sia presa in carico dal primo Stato Ue dove ha fatto ingresso, anche se in Grecia il tasso di riconoscimento dei rifugiati è dello 0.3%, tra i più bassi al mondo. Anche se in Grecia S. è stato picchiato da un agente. La sua è una storia come tante. Il rapporto del 2007 sulla Grecia della ong tedesca Pro Asyl, documenta decine di casi di richiedenti asilo, anche minori, torturati dalle forze di polizia greche. E grazie a quel rapporto, paesi come Norvegia, Svezia e Germania, hanno sospeso l’applicazione del Regolamento Dublino II verso la Grecia, considerato di fatto un Paese non sicuro per un richiedenti asilo.

Gabriele Del Grande, pubblicato da Redattore Sociale


(18/08/08)