12 November 2008

Melilla: le piogge torrenziali aprono un varco nella frontiera

foto di Sara Prestianni, Storie Migranti
MELILLA, 12 novembre 2008 – C’è voluta una tromba d’aria, ma alla fine la alambrada ha ceduto. Le piogge torrenziali che si sono rovesciate lo scorso 26 ottobre sulla città spagnola di Melilla, hanno distrutto un tratto della doppia recinzione metallica alta sei metri che sigilla la frontiera dell’enclave spagnola in Marocco. La reazione non poteva essere diversa. In due settimane si sono susseguiti almeno sette assalti al posto di frontiera di Beni Enzar, con violenti scontri tra emigranti sub-sahariani e forze di polizia marocchine e spagnole. L’ultimo episodio lunedì scorso, il 10 novembre 2008, quando un gruppo di 200 emigranti ha tentato di sfondare il posto frontaliero di Beni Enzar, tra Nador e Melilla, alle 5:30 del mattino. Respinti con gas lacrimogeni e proiettili di gomma, un gruppo di circa 60 persone è ritornato alla carica poco dopo, armato, secondo la versione dei quotidiani spagnoli, di pietre e bastoni. Gli scontri hanno causato due feriti tra la Guardia Civil e 7 agenti intossicati dai gas lacrimogeni. Alcuni migranti sono stati arrestati dalla polizia marocchina. Non si ha notizia sul loro destino, ma saranno probabilmente presto espulsi e abbandonati alla frontiera con l’Algeria, tra Oujda e Maghnia.

Quelli di lunedì sono stati gli scontri più pesanti, a tre anni di distanza dai morti del 2005, quando la polizia spagnola e quella marocchina uccisero a colpi di arma da fuoco 13 emigranti e ne ferirono molte decine durante gli assalti alla rete che sigilla questa frontiera tra Europa e Africa.

Gli assalti all’alambrada sono ricominciati il giorno dopo il diluvio, il 27 ottobre, quando una sessantina di emigranti sub-sahariani riuscirono a forzare il posto di frontiera di Beni Enzar. 37 di loro riuscirono a entrare, e oggi sono ospiti del centro di prima accoglienza Ceti. La loro impresa deve aver scatenato un rapido passaparola. E la notizia è arrivata ai migranti sub-sahariani bloccati da anni in Marocco senza documenti né mezzi di sostentamento, accampati nelle foreste sulle montagne tra Nador e Berkane o ammassati negli appartamenti affittati in nero nelle periferie di Rabat e Casablanca. Così il giorno dopo l’impresa dei 37, il 28 ottobre, un secondo gruppo di 20 persone ha tentato di nuovo l’assalto alla frontiera. Da allora si ha notizia di almeno sette scontri tra polizia e gruppi di migranti sub-sahariani. Il 29 ottobre, due agenti della Guardia Civil sono rimasti feriti durante gli scontri con 12 migranti, lungo la recinzione, all’altezza del fiume d’Oro, tra i posti frontalieri di Mariguari e Farhana. E ancora il 7 e l’8 novembre gli scontri con i migranti hanno causato il ferimento di due agenti della Guardia civil e l’arresto di diversi migranti da parte della Gendarmeria reale marocchina. Per ora non si conosce invece il numero di migranti feriti durante tutti questi scontri.

L’assalto ai posti di frontiera si sta rivelando l’unica possibilità di entrare in Europa per molti migranti sub-sahariani bloccati in Marocco. Chi ha i soldi o ha un parente all’estero che glieli possa prestare, si imbarca sui barconi che continuano ad arrivare sulle coste dell’Andalucia nonostante il Sistema di vigilanza elettronico (Sive). Ma a chi ha perso tutto, non resta altro che forzare il posto frontaliero di Beni Enzar o approfittare dei buchi aperti nella recinzione dalle piogge. Saltare la rete, come si faceva fino al 2005, quando era alta solo tre metri, è praticamente impossibile.

La recinzione copre tutto il perimetro della città di Melilla, per una decina di chilometri. Gli spagnoli la chiamano alambrada. Si tratta di due reti d’acciaio alte sei metri. Corrono parallele a sei metri di distanza una dall’altra, lungo tutto il confine, a Melilla e nell’altra enclave spagnola, Ceuta, più a nord. In mezzo alle due reti, se ne trova una terza, più bassa, di circa tre metri. La prima rete è sormontata da una rete metallica a forma di elle. Chi si arrampica per scavalcare la recinzione è costretto ad aggrapparsi al braccio più corto della elle, che con il peso ruota di novanta gradi verso il basso e lo lascia a penzoloni. Tra la prima e la seconda rete poi, è teso un fitto reticolato di cavi d’acciaio, le cui maglie si tendono col peso della persona, immobilizzandola, a meno che non lo sia già per le ferite di eventuali cadute da quella altezza. Il contatto coi cavi attiva un sistema d’allarme Docce speciali iniziano a spruzzare acqua e peperoncino per bruciare gli occhi, già accecati dalla luce dei faretti, montati uno ogni cento metri. Per superare la terza barriera bisogna lanciarsi al di là di due rotoli di filo spinato legati a sei metri d’altezza su entrambi i lati della rete. Il tutto nel giro di una manciata di secondi, ovvero prima dell’arrivo della Guardia civil, allertata dai radar posizionati sulle torrette di controllo lungo la strada che costeggia la barriera.

PER APPROFONDIRE
Su Melilla e più in generale sulla frontiera spagnola proponiamo gli ottimi rapporti della Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía

Informe sobre la inmigración clandestina durante el año 2007
(disponible aussi en français)

Informe sobre la inmigración clandestina durante el año 2006

Informe sobre la inmigración clandestina durante el año 2005

Informe sobre la inmigración clandestina durante el año 2004

El Enemigo Común - Il Nemico ComuneE poi l'ottimo video Melilla: choque de civilizaciones. Abusi, pestaggi, omicidi. Alle porte d’Europa. Uno dei documentari più completi sull’enclave spagnola. Girato dalla ong Prodein