MODICA, 2 aprile 2009 – Sono in carcere i 21 superstiti del naufragio che lunedì scorso ha fatto 230 vittime a poche miglia dalle coste libiche. Alcuni saranno presto rimpatriati, per altri invece si prospettano mesi e forse anni di detenzione. La conferma arriva dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni, la cui missione a Tripoli è stata autorizzata dalle autorità libiche a visitare gli emigranti. Si trovano nel centro di detenzione di Tuaisha, a Tripoli, in condizioni degradanti. “Li abbiamo visitati ieri per la prima volta – ci ha detto al telefono Michele Bombassei (Oim) – e oggi stiamo tornando con un medico, perchè alcuni di loro hanno problemi di stomaco a reni, a causa dell’acqua salata che hanno bevuto”. Prima dell’arrivo dei soccorsi infatti, i 21 sono rimasti aggrappati per otto ore ai legni di poppa del peschereccio semiaffondato, fino alle 16:00. Tra i superstiti c’è anche una donna, che però è stata rilasciata per essere ricoverata in ospedale, viste le precarie condizioni di salute. Per molti di loro sono già iniziate le pratiche di identificazione per il rimpatrio forzato.
Le ambasciate più solerti sono state quelle dei paesi arabi coinvolti, nel gruppo infatti si contano 3 algerini, 4 egiziani e 2 tunisini. L’altra metà dei superstiti proviene invece dall’Africa subsahariana: Gambia, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio e Nigeria. Saranno loro ad avere i problemi maggiori. In Libia infatti non esistono rappresentanze consolari della repubblica del Camerun e di quella del Gambia. Il che significa che i 3 gambiani e l’unico camerunese sopravvissuti alla strage in mare rischiano di passare mesi o anni nelle carceri libiche – note per le condizioni degradanti e inumane di detenzione - prima che abbiano inizio le pratiche di identificazione e rimpatrio. Senza un laissez passer dell’ambasciata è infatti impossibile procedere al rimpatrio. Casi simili sono già stati documentati in passato dall’osservatorio Fortress Europe che durante una visita in Libia aveva incontrato un gambiano detenuto a Khums da 5 mesi. Non si conosce invece dove si trovino i 350 passeggeri del peschereccio soccorso domenica scorsa dal rimorchiatore italiano Asso 22. L’unica cosa certa è che anche loro si trovino in detenzione, in attesa del rimpatrio.
Tra le vittime infine figurano 15 cittadini tunisini della città di Metlaoui, tristemente nota per la repressione con cui il governo tunisino ha annientato i movimenti spontanei di protesta che nel 2008 hanno animato il bacino minerario della provincia del governorato di Gafsa, in particolare a Redeyef. Ulteriore conferma che dalla zona partono molti dei migranti tunisini in arrivo a Lampedusa, come documentato dal nostro reportage del novembre scorso "Tunisia: la dittatura a sud di Lampedusa".