MODICA, 7 febbraio 2009 - Hanno ingoiato lamette da barba e bulloni di ferro. Un gesto estremo di protesta. L'ultimo e forse l'unico rimedio per evitare la deportazione. E' successo la notte scorsa a Lampedusa. I protagonisti sono una decina di tunisini. Uno è stato ricoverato d'urgenza all'ospedale di Palermo, per le profonde ferite alla trachea. Il centro di prima accoglienza e soccorso dell'isola è stato trasformato con un decreto in centro di identificazione e espulsione. Vi sono detenuti oltre mille tunisini. Molti da prima di Natale. In condizioni igieniche pessime. Da dicembre, 343 minori non accompagnati e 377 richiedenti asilo sono stati trasferiti in altre strutture in Italia. Per tutti gli altri Maroni ha promesso il rimpatrio. Un gruppo di 150 tra egiziani e nigeriani sono stati rimpatriati direttamente dall'isola. E la settimana scorsa 120 persone sono state trasferite al centro di identificazione e espulsione di Roma, per uno scalo tecnico prima del rimpatrio in Tunisia, come concordato dal ministro Maroni con il suo omologo tunisino Kacem. Ad accoglierli ci sarà il regime di Ben Ali, un regime che - tanto per capire con chi l'Italia collabora - lo scorso 4 febbraio 2009 ha confermato in appello le condanne a dieci anni di carcere ai sindacalisti che nel 2008 promossero il movimento sociale di Redeyef, nei bacini minerari di fosfato, e ai giornalisti tunisini che raccontarono quelle proteste che, lo ricordiamo, causarono la morte di 2 persone sotto il fuoco della polizia.
Sono forse questi i primi frutti della "cattiveria" invocata dal ministro Maroni contro gli stranieri senza permesso di soggiorno? E non è ancora niente rispetto a quanto accadrà nelle carceri libiche. Il Senato ha ratificato l'accordo con Gaddhafi lo scorso 3 febbraio. Due giorni dopo Maroni è rientrato da Tripoli con la promessa dell'avvio dei pattugliamenti congiunti. Nei prossimi giorni una delegazione libica arriverà a Gaeta per ritirare le sei navi della Guardia di Finanza. E già dal mese di aprile le deportazioni collettive di migranti e rifugiati verso la Libia potrebbero diventare la prassi nel Canale di Sicilia. Con la benedizione dell'Unione europea. Il commissario UE per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner sarà infatti a Tripoli il 9 e 10 febbraio proprio per negoziare, insieme ai nuovi accordi commerciali, anche la questione dell'immigrazione. Una questione che "desta una crescente preoccupazione" e per risolvere la quale, garantisce il commissario, l'Europa cercherà "la forma di cooperazione più appropriata". Libia che intanto continua a chiedere l'ingresso di immigrati dall'Asia. Proprio così. Con una mano ripulisce il cortile dell'Europa dagli emigranti africani. E con l'altra ne prende a centinaia di migliaia in paesi come Bangladesh, Filippine e Sri Lanka. Proprio così. Anche con il sanguinario regime sri lankese. L'ultimo accordo chiede l'arrivo di 100.000 lavoratori srilankesi. Il triplo degli emigranti e rifugiati africani arrestati e torturati nelle carceri libiche lo scorso anno.