MODICA, 7 aprile 2009 - Che cosa succede a Lampedusa? Un rapporto recentemente pubblicato da kom-pa.net, borderline europe e borderline sicilia (con la collaborazione dei lampedusani comitato "NO CIE" e associazione Askavusa) aiuta a ricostruire gli eventi degli ultimi quattro mesi. A partire dagli sbarchi di dicembre, il blocco dei trasferimenti e il successivo decreto ministeriale che trasforma il centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola in un centro di identificazione e espulsione. Una forzatura che causa le proteste dei detenuti, sfociate in atti di autolesionismo, tentati suicidi e poi la rivolta che mette a fuoco un'intera area del centro. Parallelamente anche i lampedusani scendono in piazza per dire no alla costruzione del nuovo centro nella vecchia base Nato, guidati dal sindaco De Rubeis, e spaventati dall'idea di un'isola carcere, come già fu ai tempi del fascismo e prima dei Borboni. Il rapporto mette in luce anche le criticità della nuova gestione degli arrivi. Gli emigrati vengono divisi in mare in base al colore della pelle. Bianchi verso il Cie di Lampedusa. Neri verso i centri per richiedenti asilo in Sicilia e nel resto d'Italia. Il tutto senza identificazione, senza accertamenti medici, e senza la possibilità di individuare da subito minori e categorie vulnerabili. Intanto nell'ultima settimana, il Viminale rende noto di aver rimpatriato 69 dei detenuti a Lampedusa.
Ecco il testo del rapporto, scaricabile in pdf dal sito di Kom-pa.net. Da vedere anche il video
LAMPEDUSA. REPORT DALL'ISOLA SENZA DIRITTI
Il viaggio
In più abbiamo incontrato Giuseppe Palmeri, consigliere comunale di opposizione (PD) e Giusi Nicolini, responsabile locale di Legambiente ed abbiamo anche avuto l'opportunità di incontrare ed intervistare il sindaco De Rubeis, dal quale abbiamo fondamentalmente cercato di capire quali siano le sue prossime mosse, dal momento che, anche da quanto emerso da dichiarazioni rilasciate alla stampa, da condottiero della protesta sembra avere assunto atteggiamenti più moderati e disponibili alla trattativa.
Altri nostri interlocutori sono stati il vice parroco di Lampedusa, che ironia della sorte è un prete di colore proveniente dalla Tanzania, e gli operatori dell'Acnur e di Save the Children, organizzazioni che insieme all'IOM sono presenti a Lampedusa all'interno del progetto Praesidium IV.1
Siamo arrivati il 13 marzo e ripartiti il 15 e sia l'arrivo che la partenza sono stati segnati da alcuni episodi, abbastanza indicativi di ciò che accade nell'isola quotidianamente.
Alla partenza - ad ulteriore segno di un'isola completamente assediata dalle forze dell'ordine - parte del gruppo, viene schedato con un controllo e una trascrizione dei documenti non richiesto a nessun altro passeggero. L'iniziativa è presa dallo stesso funzionario della Digos che poche ore prima ci aveva cacciati dal molo commerciale, presso il quale eravamo accorsi per assistere ad uno sbarco.
Un po' di storia
Nel periodo di natale 2008 a Lampedusa si verifica un numero consistente di sbarchi e da lì a poco il ministro dell’interno Maroni blocca i trasferimenti da Lampedusa, così, come ci spiega Barbara Molinario dell'ACNUR: “nel periodo tra il 29 dicembre e il 22 gennaio sono stati sospesi i trasferimenti da Lampedusa. Fatta eccezione per i minori e le donne gravide, non è partito nessuno. In seguito, quando sono ripresi i trasferimenti, sono partiti quasi tutti i richiedenti asilo che erano presenti in quel momento e il 24 gennaio il CSPA è diventato CIE, quindi le persone che sono ospitate nel CIE sono qui dagli sbarchi di Natale".
La nuova ipotesi di Maroni, relativamente ai flussi migratori verso l'Italia è quella di respingerli direttamente a largo delle coste libiche, e bloccare a Lampedusa quelli che vi dovessero riuscire ad arrivare, per espellerli direttamente dall'Isola. Nello stesso tempo, Maroni annuncia che, grazie all’accordo con la Libia e ai pattugliamenti congiunti, per l’anno 2009 gli sbarchi si fermeranno del tutto.
In quelle settimane infatti si inasprisce il delirio “sicurezza” della Lega. Dentro il più ampio scenario determinato dalla crisi economica globale, il pugno di ferro nei confronti degli stranieri diventa un facile modo per distrarre il proprio elettorato dall'incapacità di dare seguito alle promesse federaliste sventolate in campagna elettorale.
Il 9 gennaio Maroni arriva a Lampedusa. Il sindaco, la Maraventano, SOS Pelagie organizzano un vero e proprio comitato di benvenuto per chi è atteso come colui che risolleverà le sorti economiche di Lampedusa: interventi infrastrutturali, sostegni per l'edilizia scolastica, impianti idrici e fognari, forse addirittura il tanto atteso ospedale, sono alcune delle risposte che i lampedusani aspettano dal ministro leghista: “i lampedusani si aspettavano risorse a finanziamenti – ci racconta Giuseppe Palmeri - benché non sia difficile capire che un ministro che gestisce la polizia in Italia ha ben pochi finanziamenti da portare, infatti dopo pochi giorni dalla sua partenza in un'occasione pubblica a Venezia, Maroni dichiara la sua intenzione di fare un CIE nell'Isola di Lampedusa e da lì si scatena la protesta.”
Intanto il 14 gennaio, con decreto, viene disposto l’immediato trasferimento sull’isola della Commissione territoriale di Trapani per il riconoscimento della protezione internazionale, la quale procede alla disamina di alcune domande di protezione. Solo dopo pochi giorni la Commissione fa ritorno a Trapani. Per quel breve periodo, la presenza della Commissione aveva trasformato, di fatto, il centro di contrada Imbriacola in un CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo), pur senza aver predisposto gli adeguamenti necessari. Inoltre, l’assenza a Lampedusa di una sede del tribunale e le difficoltà di accesso all’assistenza legale, per mancanza di avvocati sull’isola, rendevano impraticabile il diritto di difesa, e quindi improponibili eventuali ricorsi contro i dinieghi della Commissione.
Più o meno negli stessi giorni, alcuni richiedenti asilo vengono trasferiti nei CARA siciliani e di altre regioni, mentre altri, insieme ai minori e ad altri migranti non provenienti da Algeria, Tunisia e Marocco, vengono spostati nei locali dell’ex base militare americana “Loran” a Lampedusa. Tale struttura non possiede il minimo requisito abitativo e di sicurezza. Infatti, il 2 febbraio scoppia un incendio.
Il CIE di contrada Imbriacola
Per rendere operativo il nuovo disegno di Maroni, diventa necessario ripensare tutto il sistema Lampedusa: se i migranti devono restare sull'isola, in attesa che venga eseguita l'identificazione per poi procedere all'espulsione, un CSPA non si adatta più allo scopo. Quello che serve è un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE).
Neanche il sindaco sa dirci esattamente di che tipo di provvedimento si tratti: “C'è un provvedimento del ministro Maroni di 150 posti, non c'è di fatto un decreto deliberato dal Consiglio dei Ministri, ma c'è...chiamiamola una circolare? Chiamiamola una disposizione? Un'idea? C'è una volontà politica, comunque siglata per un CIE di 150 posti. Ma in realtà stiamo assistendo in quella struttura alla presenza prima di 1577 tunisini, oggi di 900”.
Sostanzialmente, un centro pensato per prestare prima accoglienza e soccorso e trattenervi i migranti massimo 48 ore, diventa all'improvviso un Centro per l'identificazione e l'espulsione.
Ovviamente, un cambiamento così repentino di destinazione d'uso, senza nessun intervento strutturale che ne modifichi di fatto la funzione, ne mina concretamente l'agibilità e la sicurezza. Basti pensare che mentre Imbriacola poteva ospitare, come CSPA, fino a 800 migranti, nel momento in cui diventa CIE è pensato per detenerne 150. Di fatto, poi, il numero di persone recluse è sempre di gran lunga maggiore. Perfino nel giorno della visita di Barrot, il nuovo CIE ospita 900 persone, nonostante la mattina avessimo visto con i nostri occhi migranti fatti salire su un aereo per essere trasferiti in altri centri in Italia.
In questa confusione di numeri si manifesta l'irregolarità perpetuata dal governo, il quale, dal punto di vista della capienza, continua ad utilizzare il centro di contrada Imbriacola come un CSPA, mentre, sotto il profilo dei tempi massimi di trattenimento, come CIE. Naturalmente, è molto più semplice emanare un decreto d'urgenza per 150 posti, che per il numero effettivo per il quale dovrebbe essere realmente destinato.
L'atto di forza del governo, che muta repentinamente la funzione di Imbriacola senza tenere conto delle ragioni degli isolani né tanto meno dell'assenza di condizioni basilari di sicurezza e dignità (che pure un carcere deve garantire), provoca nel nuovo centro una situazione esplosiva, come ci racconta il vice parroco dell'isola: “i problemi sono nati dopo l'annuncio del governo di convertire il centro di prima accoglienza in CIE e lasciare che tutti i migranti rimanessero qui fino all'espulsione. Imbriacola aveva la capacità di ospitare 500, massimo 800 persone. Ma dopo l'annuncio di Maroni sono arrivati a 1900. Si poteva immaginare che sarebbe stato impossibile gestirlo. C'è stata infatti anche l'uscita dei migranti dal centro. Era un meccanismo che doveva verificarsi... Quella gente aveva bisogno di prendere un po' d'aria...”.
Il 26 gennaio la Questura di Agrigento comincia ad emanare i primi provvedimenti di respingimento, nonostante siano trascorse già diverse settimane dall’arrivo sull’isola dei migranti trattenuti. Da quel momento, a Lampedusa vengono inviati, a turnazione, giudici di pace e avvocati d’ufficio del Tribunale di Agrigento per provvedere alla convalida dei decreti di respingimento e dei provvedimenti che dispongono il trattenimento.
Durante le prime due settimane, tenuto conto della presenza, presso il centro, di ben 1134 persone, riesce difficile immaginare che nel corso delle udienze di convalida sia stata prestata attenzione ad ogni singola situazione individuale, e che, quindi, sia stata valutata l’effettiva sussistenza dei presupposti per la convalida dei provvedimenti emessi.
Nel frattempo, vengono disposti i trasferimenti di alcuni gruppi di migranti verso altri CIE d’Italia e appare chiaro che è assolutamente impraticabile la soluzione del rimpatrio da Lampedusa. In più, il centro è sovraffollato e le condizioni di vita al suo interno sono pessime: “La situazione è completamente cambiata, ma è cambiata grazie a Maroni – racconta Giusi Nicolini - perché nel momento in cui è stato trasformato in CIE, alla gente che già c'era se ne andava aggiungendo altra. Se tu pensi che c'erano 1800 immigrati da natale fino a febbraio: sotto la pioggia, sotto il vento. Questa gente tenuta fuori sui materassini fradici, con delle improvvisate tende di nylon che non servivano a niente. I bagni che esplodevano con tutti gli escrementi.”
Nonostante la ripresa dei trasferimenti, alcuni dei migranti presenti al Centro, soprattutto tunisini, sono lì detenuti già dallo scorso dicembre ed avviano una protesta sotto forma di sciopero della fame. Finché il 18 febbraio 2009, scoppia una rivolta che si conclude con un incendio che distrugge un'intera area della struttura di contrada Imbriacola. “C’era molto fumo. Si sentivano grida” ci racconta una ragazza che abita vicino al centro: “Ho visto una ventina d’immigrati sul tetto di un padiglione. Poi, a causa del fumo, non ho visto più niente. Ma cosa sarà successo a questi uomini che si erano salvati sul tetto? Di loro non parla più nessuno. Non posso credere che non gli sia successo niente!”
A seguito di tale vicenda, 18 migranti sono arrestati con l’accusa di devastazione e saccheggio, danneggiamento, violenza e resistenza a pubblico ufficiale e si trovano attualmente presso il carcere “Pagliarelli” di Palermo. Non si sa invece nulla di circa altri 23 tunisini, che risultavano essere reclusi al momento dell'incendio. Non si sa se sono ancora a Lampedusa, se sono stati espulsi in Tunisia o se sono stati trasferiti in altri centri.
Nel frattempo sulle cause e responsabilità dell’incendio è stata aperta un'indagine da parte della Procura di Agrigento, che chissà non faccia luce pure su questi dubbi. In ogni caso, è altrettanto importante capire se Imbriacola rispetta le norme di sicurezza, previste per strutture di questo genere da una circolare del 2005, introdotta dopo il processo sulla tragedia del Vulpitta. Per esempio, secondo il sindaco i padiglioni di Imbriacola sono costruiti con ISOPAN, materiale altamente infiammabile. Effettivamente quando siamo andati a visitare il cimitero delle barche (l'area in cui vengono accatastate le barche utilizzate dai migranti) notiamo anche un mucchio di macerie bruciate che, come ci confermano alcuni operai presenti, vengono dal padiglione che ha preso fuoco: “dopo il rogo si parlava di una nube tossica, poi però mettono tutti questi materiali lì a cielo aperto. Queste cose inquinano il nostro territorio. Vogliamo sapere se il Ministero dell’Interno le trasferirà in discariche speciali...”
Due giorni dopo, il 20 febbraio, viene approvato il Decreto Legge 11/09 (cd decreto anti stupri), con il quale viene introdotto il prolungamento del trattenimento nei CIE da due a sei mesi. Tale disposizione è applicabile da subito a tutti i migranti trattenuti nei CIE italiani, compreso il centro di Lampedusa. A seguito delle proteste all’interno del centro di contrada Imbriacola, il numero di personale delle forze dell’ordine in servizio è quadruplicato.
All’interno del centro si respira un’aria tesa, strozzata. Stranamente i cancelli che separano i locali per il trattenimento dei migranti adulti dagli uffici del personale in servizio presso il centro sono sempre aperti. Al loro posto una cinta umana di militari delinea il confine.
Il ruolo dei giudici di pace e degli avvocati d’ufficio viene ridotto a mera continuazione del lavoro svolto dalle forze di polizia. Il centro che sta assolvendo alla funzione di CIE non è dotato di un locale presso il quale potere svolgere il colloquio privato con il proprio difensore.
La pratica, seguita negli ultimi sbarchi, di smistare i migranti, addirittura, ancora in mare, o velocemente sul molo, esclusivamente sulla base di una sommaria ricognizione della nazionalità, rende concreto il pericolo che non vengano opportunamente identificati i minori non accompagnati e le altre categorie di soggetti vulnerabili.
Il rischio che vengano prese nei loro confronti delle misure lesive dei diritti e delle garanzie, previsti dalla legge italiana, è del tutto reale.
La Base LORAN
Come già accennato sopra, l'intenzione iniziale del ministro Maroni, era quella di installare il CIE presso l'ex base americana LORAN, ma l'urgenza di rendere immediatamente operativo il suo piano lo fa optare per un'altra soluzione: trasformare il centro di contrada Imbriacola in CIE. A questo punto si presenta un altro problema: i richiedenti asilo, i minori, e gli altri soggetti espellibili e vulnerabili, che per legge non possono essere trattenuti all'interno di un CIE (a meno che non siano destinatari di un decreto di espulsione), dove vanno messi?
Così, contemporaneamente ai sotterfugi propagandistici, nonostante la manifesta opposizione della popolazione, il governo avvia i lavori di “restauro” dell'ex base Loran, e il 27 febbraio sbarcano a Lampedusa i container destinati alla detenzione dei migranti. “Questa è la verità”, afferma il sindaco, “prima avevamo una sola struttura ora ne abbiamo due. Prima il ministro voleva creare il CIE a Capo Ponente, ma le manifestazioni lo hanno impedito, poi il governo con grande furbizia, con totale disprezzo e poco rispetto nei confronti delle scelte di questa popolazione, di sera ha trasferito (alla Loran nda) alcuni migranti, poi vi hanno portato anche dei container, che non so neanche se sono a norma, se sono idonei ad ospitare gli immigrati...”
Anche sulla trasformazione della destinazione della ex base Loran non risultano documentazioni ufficiali. Ed è stato anche molto difficile capire come funzioni realmente in questo momento. L'idea che ci siamo fatti è quella di una situazione abbastanza caotica. Nessuno ha saputo rispondere chiaramente alla domanda di quanto tempo vengano trattenuti i migranti, se 48 ore o più. Anche sulle persone attualmente rinchiusevi abbiamo raccolto dati differenti. Palmeri ci dice che i dati ufficiali sono di 60 persone (vi era stato il giorno prima con il commissario Barrot). Lo stesso giorno a qualche ora di distanza un operatore dell'Acnur ci parla invece di circa 15 migranti.
Da quello che abbiamo capito, la Loran attualmente funziona come una sorta di mini CSPA, che ospita i richiedenti asilo, donne e altre persone vulnerabili come per esempio i minori e i migranti con problemi di salute.
L'operatore dell'Acnur ci spiega anche come questi repentini mutamenti abbiano avuto delle conseguenze sull'organizzazione del proprio lavoro: “da gennaio 2009 il nostro servizio si svolge in modalità sicuramente diverse. Si spera sia una fase di transizione, per cui noi attualmente continuiamo ad avere l'ufficio e la postazione base all'interno di quello che prima era il CSPA di Lampedusa, e lavoriamo su entrambi i centri, perché dobbiamo informare tutti coloro che arrivano sull'isola della possibilità di richiesta asilo”.
Al momento della nostra visita sull'isola, i migranti sono ospitati in padiglioni preesistenti , risalenti all'epoca in cui funzionava come base militare. Ma già sull'area sono stati istallati i primi container e noi stessi abbiamo potuto riprendere le immagini del cantiere operativo a Capo ponente. Ciò rende plausibile l'ipotesi di un progetto di espansione della Loran, come luogo di trattenimento dei migranti e fa supporre che Maroni non abbia quindi abbandonato l'idea originaria di farvi sorgere un CIE, dove trattenere gli stranieri, magari in attesa del respingimento diretto. Lo stesso De Rubeis dice di non essere a conoscenza di quale sarà il destino dell'area dopo che verrà edificata: “Non si capisce quando finiranno i lavori cosa diventerà la Loran, se un CIE o altro, non si capisce perché c'è un segreto di Stato, non viene detto”.
La zona in questione è per altro molto estesa, tanto che, come sostiene Palmeri, se venisse utilizzata per intero, si arriverebbe alla costruzione di un centro con una capienza di migliaia di persone: “parlano di 300 posti, ma non è vero, perché l'area si presta a farci stare pure 12 mila migranti...stiamo parlando di 498.000 mq, dai dati che mi ha dato l'ufficio tecnico.”
L'area in cui insiste l'ex base americana è tra l'altro considerata Sito di Interesse Comunitario, come ci spiega Giusi Nicolini di Legambiente, quindi con precisi vincoli paesaggistici, che prevederebbero, prima di qualsiasi intervento, un iter di studi, pareri tecnici e nulla osta, che in questo caso sono stati totalmente evasi: “vi è stato un totale disprezzo del territorio isolano. Loro stanno costruendo senza un progetto, senza preventiva valutazione di incidenza, in un'area che è Sito di Importanza Comunitaria, istituito in applicazione di due direttive UE, che prevedono speciali misure di tutela, dal momento che siamo in un territorio che ospita specie rare e habitat a rischio di estinzione.”
Gli sbarchi del 15 marzo
La mattina del 15 marzo ci sveglia la chiamata di un nostro amico lampedusano: uno sbarco all’isola dei conigli, la spiaggia più bella di Lampedusa. Lì troviamo un gommone di circa 8 metri, arrivato sull'isola senza essere stato avvistato a mare. Tutti gli scogli ed anche il sentiero che porta alla strada sono pieni di vestiti dei migranti. Si trova anche una borsa con dei pannolini per bambini molto piccoli.
Il sindaco più tardi ci spiegherà che “si tratta di circa 70 persone del corno d’Africa, quindi eritrei, somali, etiopi. Per fortuna non c’erano tunisini. Perché i tunisini li dobbiamo tenere qua nel CIE per il rimpatrio, mentre i richiedenti d’asilo possono essere trasferiti alla terra ferma”.
Intanto arriva un altro sbarco anche a Lampedusa, questa volta avvistato dalla Guardia Costiera e arrivato sull'isola a traino della motovedetta. Ci avvisa un nostro compagno di viaggio che dovendo tornare via nave si trova già al porto ed assiste a tutte le operazioni di ingresso.
Vengono trasferiti immediatamente. Senza identificazione e senza assistenza sanitaria e legale (solo una persona viene trasportata nel poliambulatorio).
Lo stesso giorno Save the Children, dirama infatti un comunicato stampa con cui denuncia la mancanza di soccorso, di assistenza ed identificazione: “già in mattinata circa 100 migranti, (…) sono stati trasferiti in nave verso le coste della Sicilia, prima di essere identificati - non è quindi noto il numero di minori arrivati questa mattina- e dello svolgimento dell’attività di informazione legale da parte delle organizzazioni umanitarie presenti a Lampedusa. (…). Le strutture di pronta accoglienza del territorio siciliano non sono inoltre attrezzate per garantire l’assistenza di gruppi così numerosi di migranti, nonché lo svolgimento di un’opportuna attività di informazione all’arrivo e la verifica dei casi individuali.”
Frontex e Guardia Costiera: chi ha il compito del primo soccorso?
Il soccorso in mare, di tutte le persone, senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status, è garantito tramite diversi regolamenti. Purtroppo da quando l'Europa ha iniziato ad esternalizzare e chiudere le frontiere, esistono diverse opinioni sul “come salvare”.
L'ACNUR ed altre organizzazioni umanitarie affermano che la convenzione di Ginevra per la protezione del rifugiato vale anche fuori dalla terra ferma, altri lo negano.
Risultato di questa politica di negazione è che molti immigrati sui barconi non vengono salvati, ma respinti. Ciò accade anche nel canale di Sicilia, come si legge nella testimonianza di tre ragazzi, raccolta da Fortresse Europe: “Dopo tre giorni di mare, al calare del sole incontrarono una nave di pattuglia. Li presero a bordo. Ma alle prime luci dell’alba furono consegnati ad una motovedetta libica, che dopo due giorni di viaggio li sbarcò al porto di Zuwarah, in Libia. I tre sostengono che fosse una nave italiana. Ma non hanno visto la bandiera. Ad ogni modo era una delle navi della missione di Frontex, Nautilus III, all’epoca ancora operativa nel Canale di Sicilia. Nessuno dei passeggeri venne identificato prima della consegna ai libici. E a nessuno venne chiesto se intendeva chiedere asilo politico. Tecnicamente si tratta di un respingimento collettivo, proibito dalla Convenzione europea dei diritti umani, dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalla Convenzione contro la tortura. Già perché è risaputo che il trattamento riservato ai migranti nelle carceri libiche è inumano.”(cfr. www.fortresseurope.blogspot.com )
A Lampedusa abbiamo saputo che la Guardia Costiera, che fino a qualche tempo si spingeva quotidianamente anche fino a 70-80 miglia in direzione Tunisia-Libia per salvare le persone in pericolo, non esce più con la stessa frequenza. I migranti sempre più spesso arrivano direttamente sull’isola come abbiamo visto con lo sbarco del gommone all'Isola dei Conigli e della barca a Linosa oppure arrivano direttamente nelle coste siciliane.
Un'ipotesi potrebbe essere che il governo italiano abbia dato ordine alla Guardia Costiera di pattugliare solamente nelle vicinanze dell’isola, come è successo con il secondo sbarco del 15 marzo, caricato a due miglia da Lampedusa.
Dal momento che il ministro dell’Interno ha promesso di non far arrivare più gli immigrati in Italia e visto che il centro di Lampedusa è sempre più affollato, il governo cerca di far arrivare i gommoni e le barche in Sicilia o di respingerli nelle vicinanze delle costiere nordafricane.
Nel mese di marzo a Lampedusa e in Sicilia sono arrivate in tutto 1700 persone.
Il 29 Marzo, al largo delle coste libiche, un'imbarcazione con oltre 250 migranti a bordo, affonda. Ci saranno solo 21 superstiti, portati in seguito nelle carceri libiche. Lo stesso giorno si perdono le traccie di 3 altre imbarcazioni. Probabilmente si trovano anche loro nelle galere di Gheddafi, privi di diritti umani e della possibilità di uscirne.
Il giorno successivo, in occasione di un convegno sull'immigrazione all'Università Cattolica di Milano, il ministro Maroni afferma: “un episodio che nessuno ha riportato (...) nei giorni scorsi è stato intercettato nelle acque libiche un altro barcone e le autorità libiche sono andate a prenderlo e se lo sono riportato in Libia. È la prima volta che succede negli ultimi dieci anni ed è il segnale che, se anche lentamente, qualcosa sta cambiando. Noi – ha concluso - ci aspettiamo la svolta da quando il 15 maggio partirà il pattugliamento congiunto con la Libia” (corriere della sera 31.3.2009)
I NO dei lampedusani
Insieme a quella ambientale sono molti gli impatti negativi, che il popolo di Lampedusa teme che la logica emergenziale e securitaria del governo avrà sul proprio territorio.
Lampedusa, si sa, è un'isola che vive prevalentemente di turismo. Se si vuole di un turismo poco attento alla sostenibilità dei suoi interventi, che ha privilegiato la fruizione di massa, la cementificazione spesso abusiva, che non ha saputo del tutto tutelare l'economia della pesca, ma che nello stesso tempo non è stato neanche dotato di quelle infrastrutture che ne potenziassero realmente lo sviluppo sia dal punto di vista economico che sociale: la rete idrica, la rete fognaria, il trasporto marittimo, il potenziamento degli scali aerei, l'ospedale e le scuole, sono alcuni dei macro problemi che l'isola si porta dietro da anni.
Un posto comunque bellissimo, nel quale da sempre centinaia di persone vanno per riposarsi, divertirsi e per fare tutte quelle cose che si fanno in vacanza. Un posto, che però nei fatti ha subito una mutazione dal momento il cui accesso è stato impedito ad altre migliaia di persone e che via via si è si visto progressivamente trasformare in un luogo associato a morte, privazione della libertà e presidio militare: “Quello che i lampedusani hanno trovato insopportabile - ci dice Giusi Nicolini - è questo destino che sembra infinito. I Borboni hanno colonizzato Lampedusa per farne una colonia penale. I fascisti l'hanno utilizzata come colonia penale. Questa idea delle isole come raccolta dei rifiuti di tutti i tipi, che a seconda delle contingenze sono stati gli anarchici, gli oppositori politici e oggi sono i migranti... che Lampedusa debba essere considerata un carcere solo perché lontana dalla terra ferma è un'idea insopportabile. Lampedusa ha una vocazione diversa: da qui passano le balene, passano le tartarughe, non si capisce perché non possano passare pure gli uomini”.
Un mutamento che, anche secondo il sindaco De Rubeis, potrebbe rivelarsi irreversibile se il progetto di Maroni dovesse andare in porto: “l'anno scorso sono arrivati 31.500 immigrati, di cui 9.000 tunisini, che secondo l'ipotesi di Maroni dovrebbero essere trattenuti tutti qua, in un'isola di 22 kmq e di 6000 abitanti. Questo non è possibile, perché Lampedusa affonderebbe: per i problemi sanitari, per i rifiuti, per il rifornimento idrico e così via.”
Un cambiamento che il popolo di Lampedusa non vuole, ma che il governo ha imposto con la forza, mandando per sedare la mobilitazione 1500 uomini delle forse dell'ordine: “...il governo di autorità ha deciso di creare un CIE a Lampedusa, dove nessuno lo voleva e nessuno lo vuole... ma il governo se ne è fregato della volontà della gente, del volere democratico, delle proteste. Lo stato ha fatto di testa sua: ha mandato i militari ed ha detto si fa come dico io senza discussioni”.
La presenza dei militari è effettivamente impressionante2. Lungo la via Roma, il corso centrale del paese è un continuo va e vieni di camionette della polizia, cellulari dei carabinieri, macchine e furgoni della guardia di finanza. La sera, le pizzerie e i pub sono popolati da tavolate di soli uomini, che forse cercano di farsi passare la noia di un ordine di servizio la cui utilità sfugge perfino a loro3.
Nell'isola c'è anche chi afferma che gli animi dei lampedusani si siano placati perché i militari hanno portato soldi, riempiendo per esempio gli alberghi in un periodo dell'anno in cui di solito sono vuoti. In realtà, in prospettiva, provocano comunque un danno all'economia turistica: se la stessa presenza militare dovesse mantenersi nei mesi estivi, anche gli stessi albergatori registrerebbero delle perdite dal momento che le convenzioni che i corpi di polizia fanno con le strutture ricettive sono di gran lungo inferiori ai prezzi pagati dai vacanzieri. Ce lo spiega per esempio una signora che affitta appartamenti: “il ministro per l'interno sta combinando un gran casino. Abbiamo troppi poliziotti qua., non vogliamo vedere tutti questi sbirri. Abbiamo paura per il turismo. Gli albergatori ora sono contenti, ma d'estate i turisti pagano di più”.
Inoltre, tutta questa polizia rimanda un'immagine che non corrisponde a quella voglia di staccare da tutto che solitamente porta a scegliere un'isola come destinazione delle proprie vacanze “perché dovrebbero venire qui i turisti, con tutto questo rumore di sirene? Uno se ne resta in città e risparmia pure i soldi”, ci dice un signore incontrato sul molo. Così in estate, anche se gli alberghi dovessero continuare a lavorare, senza i turisti i residence e le case dei privati resterebbero vuoti ed effettivamente si è già registrato un calo del 35 % delle prenotazioni rispetto agli anni precedenti.
Un imprenditore lampedusano ci dice molto agitato: "Si deve parlare dei nostri problemi, non solamente degli immigrati! Si deve parlare delle tasse, del turismo! Da 50 anni la mia famiglia ha due alberghi ed un ristorante a Lampedusa. Guarda là cosa vedi (indica un albergo pieno di poliziotti ed una spiaggia vuota nda) non viene nessuno!"
Alle porte della stagione estiva i lampedusani sono quindi soprattutto preoccupati di ristabilire almeno un'apparenza di normalità ed in questo senso è come se tutto comunicasse un'atmosfera di perplessa attesa.
Dal punto di vista dell'attivismo popolare, effettivamente l'aria che i si respira, mentre siamo sull'isola, è molto diversa da quella dei giorni della protesta.
Il nodo centrale di questa spaccatura è dato dal mutato atteggiamento del sindaco, che se da un lato si continua a dire contrario al CIE e ad usare toni molto duri contro il governo (relativamente al tipo di gestione dei flussi migratori, alla militarizzazione dell'isola, ma anche sui lavori iniziati alla Loran), dall'altro esplicita la volontà di arrivare ad una mediazione per ottenere che a Lampedusa vi sia un solo centro sito proprio nell'ex base americana: “Questo è il momento della trattativa, di sedersi con il governo e trattare...l'idea del sindaco è quella di non avere due strutture, ma una, una e buona e situata in zona Loran.”.
Cioè che lascia perplessi del ragionamento del primo cittadino sono i termini della mediazione, non si capisce perché Maroni dovrebbe rinunciare al suo progetto di avere un CIE a Lampedusa e ciò che in molti temono è che alla fine, se i lavori alla Loran dovessero continuare, si finirà per avere un Centro di Identificazione in una zona lontana dal cuore del paese e che data l'estensione potrebbe effettivamente avere la capienza necessaria per rispondere alla volontà del governo di non fare arrivare più nessun migrante in Italia.
Non è neanche chiaro che tipo di struttura ha in mente De Rubeis, ogni tanto parla di CSPA, altre volte fa riferimento ad una Cittadella dell'accoglienza e della speranza, che secondo la sua idea dovrebbe essere qualcosa “di nuovo e originale, qualcosa che Lampedusa non ha mai avuto.”
In ogni caso su questa ipotesi di De Rubeis, di spostare il Centro alla Loran, si è creata una frattura con il resto della popolazione, che in modo attivo e organizzato si muove ancora contro il CIE e contro l'edificazione nella ex-base americana. Frattura sancita dall'arrivo dei container sull'isola, destinati proprio alla Loran e che il sindaco non ha fatto nulla per evitare: “il sindaco sta facendo confusione, perché quando dichiara alla stampa che Lampedusa è contro al CIE, ma che alla base Loran vuole una cittadella dell'Accoglienza di 2000 posti, secondo me fa un giro di parole che mortifica l'intelligenza di quelle 5000 persone che a Gennaio l'hanno seguito in piazza. E su questo punto c'è stata una spaccatura e adesso noi abbiamo un linea nostra che è quella di tornare alla situazione precedente: quindi con un solo centro ad Imbriacola, che funzioni come CSPA”, ci dice Palmeri, capo dell'opposizione in consiglio comunale.
Lo stesso esposto al ministero dell'ambiente, relativo all'inizio dei lavori alla Loran senza la necessaria valutazione di incidenza, è stato inoltrato da Legambiente nonostante il sindaco avrebbe avuto tutti i poteri per bloccarne i lavori: “Il sindaco avrebbe il potere di bloccare i lavori abusivi, che si stanno eseguendo all'interno della Loran, non sarebbe necessario arrivare ad uno scontro fisico con la polizia, né pretendere dai lampedusani che continuino altri mesi di battaglia, sfidando chissà quali poteri dello Stato. Sarebbe sufficiente invocare il rispetto della legalità. Non capisco perché a Falconara è richiesta la variante al piano urbanistico per costruire un CPT e a Lampedusa no. Non capisco perché Lampedusa debba vivere al di fuori dallo Stato di diritto”.
Nelle settimane successive al nostro viaggio i lavori alla ex base americana sono stati bloccati in seguito ad una lettera di Legambiente, che ha denunciato al ministero competente, la mancanza della necessaria valutazione di incidenza. Come si legge dal Manifesto di sabato 4 aprile:“secondo il ministero degli interni, si tratta di uno stop tecnico, al termine del quale tutto procederà speditamente, in vista della costruzione di un centro che, a regime, arriverà a contenere 300-350 persone”
Negli stessi giorni, il Comitato NO CIE, ha iniziato una raccolta di firme che, come si legge nella nota stampa diramata, ha come obiettivo: “di dimostrare che la stragrande maggioranza degli abitanti delle Pelagie non accetta e non accetterà mai che le loro isole possano trasformarsi nella Guantanamo d’Europa”.
Nonostante anche questa iniziativa sia stata osteggiata dal sindaco, che ha tentato “di bloccarla negando l’autorizzazione ad installare il banchetto nella pubblica piazza”, il 28 marzo è partita la raccolta delle sottoscrizioni.
Con un decreto fantasma e mettendo un militare ogni tre abitanti il governo, da un giorno all'altro, interviene sul territorio lampedusano: ne devasta l'ambiente, ne minaccia l'economia, crea il caos nella gestione degli sbarchi, viola le norme di sicurezza dei centri e mette sempre più a repentaglio la vita e quei pochi diritti che spettano ancora ai migranti.
Lampedusa è davvero il luogo in cui si manifestano con agghiacciante evidenza le conseguenze di più di 10 anni di politiche fallimentari, in cui sono stati spesi milioni e milioni di euro non per costruire scuole ed ospedali, ma per produrre morte e negazione della libertà.
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Note:
2 Ricordiamo l'episodio di un cittadino lampedusano preso a manganellate mentre telefonava da una cabina dell'Isola. La polizia trovò normale giustificarsi dicendo che pensava si trattasse di un “clandestino”.