Ecco la lettera consegnata al prefetto di Varese, insieme a una copia di "Come un uomo sulla terra" e di "Mamadou va a morire", lo scorso 12 giugno dai rappresentati di Donne in nero, Uisp, Acli, Ipsia, Anolf, Sanità di Frontiera, Cgil, Cisl e Uil
"Gentile Dott.ssa Simonetta Vaccari, Prefetto di Varese,
vogliamo innanzitutto ringraziarLa per averci ricevuto. Avere l'opportunità di parlare con la Rappresentante del governo riveste per noi un importante significato. Come Lei già sa, in questi giorni il presidente della Libia, Muhamad Gheddafi, è in visita nel nostro paese: giorni di incontri, di conferenze, di scambi commerciali. Un'ottima occasione, si sente dire da più parti, per rafforzare un legame iniziato grazie alla volontà dell'Italia di far proprie le richieste libiche di risarcimento, riferite al nostro passato coloniale (1911-1941). E' strano che proprio nel momento in cui si riconoscono gli orrori di ieri (le impiccagioni e le deportazioni nei campi di concentramento costruiti lungo la costa libica intorno agli anni '30, dove furono rinchiusi più di ottantamila libici), si nascondano quelli del tempo presente e si calpestino così clamorosamente i diritti fondamentali di altri esseri umani.
Simone Weil, una delle maggiori filosofe del novecento, fin dagli anni quaranta ha messo in luce il tallone d'Achille dei diritti, il cui rispetto è sempre legato alla forza che si possiede per farli valere. Quale forza hanno i somali, gli eritrei, gli afghani, gli etiopi, gli ivoriani, solo per citare alcuni dei popoli che fuggono dai loro paesi nella speranza di trovare un luogo più sicuro o ospitale dove mettere radici e costruire la propria vita? Nessuna. Difatti i loro diritti vengono continuamente calpestati. Non li difendono i governi dei paesi da cui fuggono, non la Libia, che non ha mai aderito, né intende aderire alle Convenzioni di Ginevra, e purtroppo, adesso, neanche noi italiani, che non permettiamo loro di mettere piede sul nostro suolo e chiediamo alla Libia di allontanarli dai nostri confini, di fare questo sporco lavoro al posto nostro, pattugliando le coste.
Secondo Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano, non servirà: troppo vasto il territorio per pensare di controllarlo. Ma intanto una quantità enorme di denaro europeo (31 milioni di dollari solo quest'anno) viene utilizzato non per costruire case, creare posti di lavoro, dare sollievo a chi arriva dal deserto, ma per pattugliare, segregare in nuovi campi di concentramento (3 quelli finanziati dall'Italia: Gharyan, Sabha, Kufrah), respingere.
Questa la situazione sulla quale la campagna Io non respingo mira ad accendere la luce. Questa la tragedia di esseri umani che nessuno vuole, nessuno riconosce, privi di diritti, ma verso i quali noi ci sentiamo ora più che mai in obbligo, perché grazie ai documenti e alle testimonianze raccolte da Fortess Europe, Amnesty International, Come un uomo sulla terra, questi uomini e queste donne hanno per noi oggi un nome, un volto, una storia. Sappiamo che cosa accade nelle carceri e nei campi di concentramento libici; conosciamo gli stupri, le torture, la mancanza di spazio e di pulizia, il disprezzo, le morti nel deserto. Conosciamo e non possiamo voltare la testa dall'altra parte.
Così chiediamo anche a Lei, in quanto Prefetto di questa Provincia che tanto potrebbe fare, di farsi portavoce di questo stesso obbligo, da noi profondamente sentito, presso il Governo che qui rappresenta.
Varese, 12 giugno 2009
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