12 June 2009

Il discorso di Gheddafi alla Sapienza

ROMA, 12 giugno 2009 – Lezione di democrazia alla Sapienza. Sale in cattedra uno dei dittatori più criticati degli ultimi 40 anni: il colonnello Mu‘ammar Gheddafi, al potere in Libia dal colpo di Stato del 1969, pur non rivestendo nessuna carica ufficiale. Circondato da una trentina di guardie del corpo in borghese e da tre donne della guardia personale in mimetica, il leader libico ha tenuto il suo discorso ieri pomeriggio, in un’Aula Magna gremita di studenti e completamente militarizzata. Ai giornalisti, relegati in tribuna, gli uomini in borghese della Polizia hanno addirittura vietato di fare domande e di alzarsi per scattare fotografie. Gheddafi ha scelto bene l’attacco del suo discorso: il colonialismo e le responsabilità italiane per le stragi commesse in Libia sotto il fascismo dagli uomini al comando del generale Graziani. Una triste pagina del passato, che “andrebbe inserita nei libri di scuola italiani”. Una pagina che comunque Gheddafi considera chiusa con la firma del trattato di amicizia con il nostro paese, avvenuta a Bengasi lo scorso 30 agosto 2008. Un trattato che, caso unico al mondo, ha previsto un risarcimento per i danni causati dal colonialismo: si tratta dei 5 miliardi di euro che l’Italia verserà a Tripoli nei prossimi 20 anni per la costruzione di infrastrutture. Un atto dovuto secondo il Colonnello. Un esempio da seguire per tutti gli Stati colonizzatori.

Gheddafi, che è presidente di turno dell’Unione africana, lo chiederà al G8 dell’Aquila a luglio. L’Europa dovrà “domandare perdono” per aver “rapinato” le ricchezze dell’Africa e “aver trattato i suoi popoli come animali, come schiavi”. E dovrà risarcire. “Non è carità, non è un dono, ma un diritto”. Con il risarcimento si risolverebbe secondo Gheddafi anche il problema dell’immigrazione: “Se chiedete agli africani perché emigrano verso l’Europa, vi diranno che lo fanno per riprendersi le risorse che l’Europa ha rapinato nei loro paesi”.

In completo bianco con una sagoma nera dell’Africa stampata sul lato sinistro della giacca e ricoperto da uno scialle color oro sulle spalle, il leader libico ha anche accettato di rispondere ad alcune domande di studenti e professori, mentre da fuori risuonava con frequenza il rumore dell’elicottero che sorvegliava la zona. Alla domanda sul rispetto dei diritti dei rifugiati politici respinti verso la Libia, Gheddafi ha lasciato intendere che non si tratta di rifugiati politici ma di “poveri”. “Gli africani sono affamati non sono politici” ha detto Gheddafi paventando il rischio di un’invasione incondizionata di africani in Europa nel caso si dovesse riconoscere loro l’asilo. Nessuna risposta invece è stata data a chi ha ricordato le critiche di Amnesty International, gli stupri in carcere e la mancanza di libere elezioni dal colpo di Stato del 1969.

Le critiche non sono ammesse. Al contrario, Gheddafi ha giocato di sponda e ha utilizzato quelle timide contestazioni per elogiare l’ideologia alla base della democrazia popolare diretta. In Libia infatti non è in vigore un sistema di partito unico. I partiti semplicemente non esistono. Come non esistono le elezioni. Il potere – in teoria – è gestito dai comitati popolari. Ce ne sono 30 mila in tutto il Paese. Ognuno raccoglie un centinaio di cittadini. Per un totale di circa 3.000.000 di libici (sono esclusi i minorenni, la Libia ha 6,3 milioni di abitanti). “Il popolo esercita il potere, nessuno li ha eletti. L’alternanza al potere – sostiene il Colonnello – significa che il popolo ha ceduto il suo potere. Ma la vera democrazia non prevede alternanza. Se il popolo ha il potere, perché dovrebbe cederlo a qualcuno?”. Per spiegarsi meglio, Gheddafi si è addirittura lanciato in una improbabile analisi etimologica della parola “democrazia”. Secondo lui deriverebbe dall’arabo demos-karas e non come noto dal greco demos-kratos. Non quindi il potere del popolo, ma la “sedia” (karas) del popolo (demos). E le sedie sono quelle dei comitati popolari. “Non c’è democrazia senza comitati popolari in ogni luogo” ha detto il leader citando il Libro verde, alla base dell’attuale sistema politico libico. Chissà cosa avrebbe commentato Fathi el Jahmi, uno dei principali oppositori libici, se non fosse morto ammazzato in un carcere di Tripoli poche settimane fa...

Nell’aula Magna erano presenti anche quattro studenti del movimento dell’Onda. A una di loro è stato spento il microfono mentre leggeva un comunicato stampa critico verso i respingimenti in Libia. Al suo posto è intervenuta una studentessa della prima fila, guarda caso seduta a fianco dei due studenti che avevano fatto le due domande precedenti mentre molti dietro alzavano la mano per prendere la parola. Indovinate che ha chiesto? Quali sono i diritti dei disabili in Libia. Gheddafi però non ha fatto in tempo a concludere la risposta, perché dagli spalti si è levata la contestazione di parte degli studenti. E così ha anticipato l’uscita.