114 morti in un mese, di cui 108 lungo le rotte Senegal-Canarie. Una vittima a Malta e 3 dispersi nel mar Egeo, in Italia 2 giovani asfissiati sul camion su cui viaggiavano nascosti a bordo del traghetto Zara-Ancona. Almeno 5.856 le vittime dal 1988. Allarme deportazioni collettive in Marocco e Libia
ROMA – Nessun motivo per festeggiare. L’ultimo mese del 2006 regala solo lacrime ai familiari di almeno 114 giovani partiti per l’Europa e annegati assieme alla loro illegale speranza. Tanti – secondo l’osservatorio Fortress Europe - i morti alle frontiere del Vecchio continente a dicembre. Sulle rotte dal Senegal alle Canarie hanno perso la vita 108 persone, a Malta una vittima e nel mar Egeo 3 dispersi, mentre in Italia 2 giovani sono asfissiati dalle esalazioni del carico del camion su cui viaggiavano nascosti a bordo del traghetto Zara-Ancona. A questi vanno aggiunti i 4 decessi avvenuti in 3 centri di detenzione per migranti in Italia, Francia e Russia. Dal 1988 Fortress Europe ha censito sui media la morte di almeno 5.856 candidati all’immigrazione clandestina, 1.949 dei quali risultano dispersi in mare.
Cento e otto fantasmi. Diciassette dicembre. Alla spiaggia di Yoff, a Dakar, spuntano dalla notte del mare 25 fantasmi su una piroga. Sono i soli superstiti dei 127 adventuriers partiti due settimane prima da Casamance, al confine con la Guinea Bissau, per le isole Canarie. Una rotta più lunga, ma più sicura perchè lontana dai pattugliamenti delle acque di Dakar e Saint Louis. Il mare in tempesta ha rovesciato il legno due volte e le onde hanno ingoiato chi non sapeva nuotare. I pochi sopravvissuti sono stati decimati da due settimane alla deriva senza più viveri a bordo. Non li hanno salvati i grigri preparati loro dai marabù dei villaggi, talismani di conchiglie e cinturini di pelle per la protezione degli spiriti. Gli dei del mare hanno avuto la meglio. Centodue corpi sul fondo dell’Atlantico. Una settimana prima Dakar aveva contato altre 4 vittime dopo il naufragio di un’altra piroga, mentre il 7 dicembre finalmente sbarcati alla meta agognata – le Canarie – due giovani morivano per ipotermia, uccisi dal freddo delle notti di una settimana di mare. Centootto morti in trenta giorni non sono pochi. Dal 1988 fanno almeno 1.726 vittime lungo le rotte per Spagna e Canarie, di cui 868 solo nel 2006. Il governo spagnolo parla addirittura di 6mila vittime. Cifre allarmanti che gridano contro le responsabilità dei Governi europei ed africani, sordi alle ragioni della migrazione illegale di tanti uomini e donne, accusati di un’invasione che non c’è.
L'invasione che non c'è. Madrid insiste sulla cifra record dei 31mila arrivi alle Canarie del 2006 contro i 5mila del 2005. Ma dietro l’allarmismo si nasconde una realtà diversa. Nel 2005 la Spagna regolarizzò 690mila immigrati clandestini: il 20% erano ecuadoregni, il 17% rumeni e il 12% marocchini, seguiti a ruota da Colombia, Bolivia e Bulgaria. Ebbene l’Africa sub sahariana – da cui tutti temono l’invasione della Penisola iberica - non superava il 4% delle richieste. Lo stesso in Italia. Nella sanatoria del 2002 ben 134mila dei 646mila immigrati regolarizzati venivano dalla Romania, 101mila dall’Ucraina, 48mila dal Marocco e dall'Albania e 34mila dall’Ecuador. Il mistero è svelato dalle cifre del Ministero degli Interni italiano: nel primo semestre 2006 il 63% degli immigrati senza permesso di soggiorno erano entrati in Italia con un visto turistico poi scaduto, e un altro 24% era arrivato da altri Paesi dell’area Schengen approfittando dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne dell’Ue. I 20mila sbarcati in Sicilia nel 2006 (erano 19mila nel 2005) rappresentano quindi non più del 13% degli ingressi illegali. La verità è che i meccanismi di ingresso legale per motivi di lavoro non funzionano. Ma a differenza di altri, nei Paesi africani le possibilità di ottenere un visto turistico sono pressoché nulle per i candidati all’immigrazione. Questo il dato reale. L’Europa però preferisce parlare di “pressione senza precedenti” e spendere milioni di euro per la repressione di un’invasione che non c’è.
$$$$$$$$$ Un miliardo e 820 milioni di euro non sono pochi. Questa la cifra spalmata sui prossimi sette anni per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. Si tratta di quasi la metà delle risorse destinate al capitolo immigrazione nel bilancio approvato dal Parlamento europeo. Nella partita rientra anche Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, il cui bilancio per il 2007 è stato raddoppiato a 34 milioni di euro, con l’obiettivo dichiarato di creare un sistema permanente di pattugliamento della costa sud dell’Europa. Vanno in questa direzione il prolungamento di 6 mesi della missione Hera in Senegal, operativa dal 7 settembre 2006 e le pressioni su Tripoli per una operazione congiunta lungo le coste libiche la prossima estate.
La nuova diplomazia. La Spagna di Zapatero, che ha speso 45milioni di euro nel 2006 per i rimpatri aerei dalle Canarie al Senegal di almeno 4.400 persone, ha appena concluso con il Marocco un accordo per il rimpatrio dei minori. E l’Italia ha rinnovato la cooperazione con la Tunisia per i controlli del Canale di Sicilia. Simili accordi ormai fanno parte delle relazioni diplomatiche dell’Europa con tutta la cintura di Paesi che va dalla Turchia al Gambia, passando per tutto il Maghreb, la Mauritania e il Senegal. Aiuti in cambio di operazioni di controllo delle frontiere esterne europee. Un impegno che però troppo spesso si traduce in detenzione arbitraria e deportazioni collettive, in condizioni perlopiù degradanti.
Il lavoro sporco. La rete Migreurop denuncia che all’alba del 23 dicembre una retata di polizia in diversi quartieri di Rabat ha causato l’arresto e la deportazione alla frontiera con l’Algeria a Oujda di circa trecento persone, tra cui numerosi richiedenti asilo e rifugiati politici riconosciuti dall’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu in Marocco. Stesso copione il 25 dicembre a Nador, alle porte di Melilla. In Algeria non si fermano le deportazioni alla frontiera con il Mali, dove i migranti sono abbandonati in pieno deserto nel villaggio di Tinzawatin. In Libia, già accusata di detenzioni arbitrarie e torture da Human Rights Watch e Afvic (Amis et familles des victimes de l’immigration clandestin), continuano le deportazioni collettive. Lo rende noto un comunicato dell’Agenzia Habeshia, secondo cui 400 cittadini eritrei detenuti nel carcere di Al-Kufrah, una struttura al confine con il Sudan finanziata dall’Italia, rischierebbero di essere espulsi e al loro rientro incarcerati e mandati ai lavori forzati. Per alcuni si profilerebbe addirittura la pena di morte, si legge, “per il ruolo politico che avevano”. Già nel 2003 Tripoli aveva deportato ad Asmara 181 persone, su richiesta del presidente eritreo Iseya Afewerki, “di queste persone fino ad oggi non si ha notizia”.
Se Ankara storce il naso. Diversa la situazione della Turchia. Ankara minaccia di non essere più della partita se Atene continuerà ad espellere in Turchia i migranti irregolari trovati in Grecia e se l'Ue non parteciperà alle spese. Lo sostiene il Direttore generale della sicurezza del ministero dell'Interno turco, Mehmet Terzioglu riferendosi in particolare alle frizioni con la Grecia dopo il caso Karaburun, quando all’alba del 26 settembre 8 persone morirono annegate a 400 metri dalle spiagge della città turca, gettate in mare con un gruppo di 40 persone dalle forze armate greche, che le avevano arrestate sull’isola di Hiyos. Non è la prima volta. Secondo Ankara la Guardia Costiera greca avrebbe abbandonato nelle acque territoriali turche almeno 5.800 migranti irregolari respinti alla frontiera dal 2003 al 2006. Sulle rotte tra Turchia e Grecia hanno perso la vita almeno 452 persone, gli ultimi 3 il 2 dicembre, dispersi al largo di Edremit.
In gabbia da morire. Due giorni dopo a Marsiglia, in Francia, moriva suicida in un centro di detenzione per migranti in attesa di espulsione, il giovane Kazım Kustul, 22 anni. Il giovane turco viveva in Francia dal 2003. Il suo non è un caso isolato. Il 9 dicembre, un quarantenne bulgaro detenuto nel centro di permanenza temporanea di Lamezia Terme (Catanzaro) si impiccava al passamano di una scala. E il 2 dicembre in Russia era morta di infarto Manana Dzhabelia, 51 anni, Georgiana, arrestata per essere espulsa. Soffriva di diabete, probabilmente si sarebbe salvata se fosse stata soccorsa da un medico, denunciano le associazioni che ricordano un caso simile nel mese di novembre. Non si tratta di casi isolati, ma piuttosto dei regolari effetti collaterali della detenzione amministrativa degli irregolari. Il 28 dicembre del 1999 sei persone morivano in un rogo al cpt Serraino Vulpitta di Trapani. L’allora prefetto Leonardo Cerenzia venne assolto. Perchè sulla vicenda non cali anche il sipario dell’oblio dopo quello dell’impunità, la Rete antirazzista siciliana ha manifestato davanti a quel cpt per ricordare. La morte di tanti uomini e donne è ormai diventata banale, lo sdegno è coperto dal cinismo e la memoria svanisce.
Per non dimenticare. Sono ancora là invece i fantasmi delle 283 vittime del naufragio del Natale 1996. Nel decimo anniversario della più grande tragedia del Mediterraneo del dopoguerra i loro resti rimangono sepolti sotto 106 metri di mare a 20 miglia dalla località di Porto Palo (Siracusa), bloccati nella stiva della F-174, affondata con il suo carico umano da trafficanti senza scrupoli poi fuggiti in Grecia a bordo di una seconda nave su cui riuscirono ad aggrapparsi alcuni dei superstiti. Melting Pot dedica uno speciale ad una vicenda criminale che grazie alle testimonianze dei superstiti, al ritrovamento di un pescatore e al lavoro di un giornalista è riemersa dall’oblio nel 2001 quando Giovanni Maria Bellu mostrò le immagini del relitto. Si aprì un processo che rimane ancora aperto. L’armatore pakistano e il capitano della Yohan sono accusati di omicidio volontario plurimo.
Guai a chi li tocca. Sarà fatta giustizia? Difficile dirlo in un Paese, l’Italia, dove a rischiare il carcere sono piuttosto i comandanti delle navi colpevoli di soccorrere i naufraghi del Canale di Sicilia, come tristemente dimostra il caso della Cap Anamur, che nel luglio 2004 salvò la vita a 37 persone e di cui oggi si dibatte nelle Aule del Tribunale di Agrigento contestando al comandante e al secondo di bordo il reato di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina.