Aleppo, un musicista curdo con i combattenti della Liwa Salah El Din |
ALEPPO - Era una notte dell'ottobre 2012. Abu Mohammad fece un collegamento telefonico su Al Jazeera annunciando la nascita della prima milizia curda dell'Esercito libero siriano. Qualcuno lo identificò e presto la notizia arrivò alle milizie armate di 'Afrin del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), a cui il regime di Asad ha affidato da un anno il controllo di tutta la regione curda siriana del nord est. Ironia della sorte, a salvarlo fu un militante del Pkk, un vecchio amico, che passò da casa sua un'ora prima che lo venissero ad arrestare. E gli disse solo di fuggire immediatamente in Turchia con tutta la famiglia e senza chiedere troppe spiegazioni.
Fu così che arrivarono a Gaziantep, in Turchia, con la moglie, le tre bambine e il neonato. Il piccolo Mohammad, figlio della speranza, concepito a rivoluzione iniziata e nato in piena guerra, otto mesi fa. Ancora non cammina, in compenso sa già riconoscere le canzoni della rivoluzione. E quando le tre sorelline si mettono a cantare Nahnu Biddna al Hurriye (Noi vogliamo la libertà), lui inizia a ridere e si dondola sulle ginocchia. Il padre, Abu Mohammad, si gode la scena. Chissà quante volte deve avergli intonato quella canzone. A fianco, la moglie Sultana, insegnante di musica, lo guarda con dolcezza. Come se fosse la prima volta. O forse come se fosse l'ultima. Ormai anche a 'Ashrafiya, il quartiere curdo di Aleppo, sono iniziati gli scontri. E suo marito domani parte per il fronte.
“Sono innamorato di mia moglie, ho quattro bambini meravigliosi. Non vorrei mai morire, ti dico la verità. Ma non c'è rimasta altra scelta. Il mondo ci ha abbandonato, siamo rimasti da soli. Dobbiamo farci carico di questo sacrificio, per il futuro dei nostri figli”.
Oggi Abu Mohammad è uno dei 2.700 uomini del Consiglio militare curdo, la prima formazione curda che da dicembre 2012 è entrata a far parte dell'Esercito libero siriano. Il consiglio è diviso in due battaglioni. La Liwa al 'Adl e la Liwa Salah Al Din, dal nome del noto condottiero curdo che sconfisse i crociati a Hattin nel 1187. Centinaia di altri uomini fanno parte di cellule dormienti, presenti nelle principali città curde e pronti a intervenire contro gli uomini del Pkk quando sarà il momento.
Mentre in Turchia il Pkk è impegnato da un quarto di secolo in una lotta armata contro l'esercito turco per l'indipendenza del Kurdistan, in Siria è visto come un alleato della dittatura siriana. In effetti il Pkk è una vecchia conoscenza a casa Asad. Il suo fondatore, Abdullah Ocalan, ha abitato a Damasco dal 1980 al 1998, salvo poi essere stato espulso dal paese e quindi arrestato dai servizi segreti turchi in Kenya dopo avere inutilmente tentato di ottenere asilo politico in Italia. Negli anni, i rapporti tra Pkk e regime non sono mai cessati. Così, quando nel 2011 è esplosa l'insurrezione armata degli arabi sunniti, Asad ha stretto un accordo proprio con le milizie del Pkk per evitare un doppio fronte di lotta con i curdi. Il regime ha ritirato i militari dalle zone curde del nord est affidandole al controllo militare del Pkk e della sua costale siriana, il Partito di unione democratica (Pyd).
Ciononostante nelle campagne curde il Pkk gode ancora di un certo consenso. Secondo Abu Mohammad però i curdi siriani stanno semplicemente scegliendo il male minore. “La gente si sente protetta, perché finché c'è il Pkk, gli aerei del regime non bombardano la regione. Perché sono alleati. Ma adesso la situazione è cambiata. Ashrafiya, il quartiere curdo di Aleppo, è insorto. I nostri uomini sono lì a combattere contro le truppe del regime. La gente verrà dalla nostra parte. Perché i curdi sono contro il separatismo. Siamo prima di tutto siriani. Poi curdi. La Siria è di tutti. Arabi e curdi, musulmani e cristiani. Non dobbiamo dividerla!”.
Il comandante del Consiglio militare curdo, generale Mohammad Khalil Al 'Ali, è dello stesso parere. È un uomo sulla cinquantina, dai modi cordiali ma decisi. Di poche parole e abituato a comandare. Viene dalla divisione carri armati dell'esercito siriano. È uno delle migliaia di ufficiali che hanno rifiutato di obbedire agli ordini del regime. Quando ha disertato, nel luglio scorso, era di stanza a Homs.
“Volevo andarmene da molti mesi. Non ce la facevo più ad assistere ai crimini commessi dai miei colleghi. Ma disertare è difficile e molto pericoloso. Gli alti ufficiali sono piantonati dagli shabbiha del regime. Se c'è il sospetto che stai pianificando la fuga ti arrestano o ti ammazzano. Ancora adesso ho molti amici ufficiali che vogliono disertare ma che non sono ancora riusciti. Compresi alcuni alawiti”.
Alawiti sì, la minoranza a cui appartiene la famiglia Asad. “Il 90% degli ufficiali dell'esercito siriano sono alawiti, eppure gli alawiti sono meno del 10% della popolazione siriana. Ti sembra normale? Anche se poi il problema non è solo quello. Il problema sono le condizioni di totale isolamento in cui sono tenuti i soldati. Ai soldati semplici e agli ufficiali di medio rango è vietato guardare i canali satellitari ed è vietato tenere il cellulare per parlare con amici e familiari. Sono nel più totale isolamento dal mondo. E ogni giorno, nelle riunioni, gli ripetono che il paese è invaso da terroristi stranieri, che Israele e Al Qaida stanno invadendo la Siria. Ce lo dicevano ogni giorno. E ci dicevano di sparare a qualsiasi cosa si muovesse. Senza distinzione, perché altrimenti ci avrebbero attaccato. Non era normale. Per quello ho disertato. Non potevo servire un governo criminale.”
Adesso il generale Mohammad Khalil dirige tremila combattenti curdi. Il comando si trova in una vecchia fabbrica di biscotti al pistacchio, nella zona industriale di Aleppo. Basta dare un occhio in giro per capire che i mezzi a disposizione dei curdi siano minimi. Non c'è elettricità, non c'è internet, il cibo scarseggia, e le munizioni sono contate. In compenso il morale è alle stelle. Anche perché il generale Khalil ha dato ai suoi uomini una missione speciale.
“I curdi sono la più importante minoranza del paese dopo gli arabi sunniti, circa 3 milioni di persone su una popolazione di 23 milioni. E noi siamo l'unico consiglio militare curdo dell'esercito libero. Per questo abbiamo una grande responsabilità. L'ho annunciato il giorno della formazione del consiglio: proteggeremo le minoranze. Proteggeremo i nostri fratelli cristiani, i fratelli armeni, i fratelli druzi, i fratelli alawiti. Questa è la Siria che conosco. Mio padre aveva una società con un armeno e un cristiano. Questa è la nostra storia, la Siria è di tutti.”
Peccato che la Siria della guerra stia mandando segnali un po' più contrastanti della visione rosea del generale. Basti pensare che uno dei pochi ospedali non ancora distrutto dai bombardamenti aerei nei quartieri insorti, lo Zarzur, ha rifiutato di avere collaboratori curdi. I suoi nuovi finanziatori, arabi legati ad ambienti salafiti, giudicano tutti i curdi dei potenziali traditori. E così preferiscono aprire le porte ai medici volontari egiziani e sauditi piuttosto che agli insospettabili medici della “Primavera curda” di Aleppo, un movimento attivo sin dai primi giorni della rivoluzione, quando nascondevano nelle loro case i feriti delle manifestazioni curandoli clandestinamente dalle ferite degli spari della polizia.
Eppure lo spirito pluralista della vecchia Siria, quello di cui parla il generale Mohammad Khalil non è scomparso. Lo ritrovo la sera tra i ragazzi della Liwa Salah El Din, nella vecchio biscottificio dove hanno base. Abu Mohammad prepara il caffè già pregustando il ritorno in famiglia. Safqad suona il buzuq intonando un vasto repertorio di folclore e canzoni rivoluzionarie, in curdo e in arabo. E in un angolo della stanza, Mohammad aggiorna la pagina facebook del consiglio militare curdo. Finalmente dopo tre giorni hanno aggiustato il generatore elettrico e la connessione satellitare ha ripreso a funzionare. Lui che è l'amministratore della pagina, deve postare gli ultimi video che ha girato sul fronte e i nuovi comunicati stampa del comandante. La connessione però è molto lenta. E mentre la clessidra gira a vuoto, apre in un'altra pagina la foto del suo grande amore. Mona, una ragazza drusa di Damasco. Indossa un vestito senza maniche color rosa pesco. Sorride con tutta la leggerezza dei suoi diciassette anni. Sorride Mohammad, che di anni ne ha diciotto. E sorrido anch'io pensando al fatto che Mohammad, l'unico ragazzo arabo della katiba dei curdi, sogna di sposare una ragazza drusa. Forse è questo che intendeva dire il generale Khalil. La Siria è di tutti.