25 November 2011

L'orologio di Riad e i ragazzi di Ouardiya

Tunisi, le madri dei ragazzi dispersi sulla rotta per Lampedusa
È stata l'acqua del mare a bloccare gli ingranaggi. Le lancette si sono fermate lo scorso 13 marzo. Segnano mezzanotte e zero tre. Salah non ha più voluto aggiustare il vecchio orologio da polso. Lo custodisce in un cassetto, insieme a qualche ritaglio di giornale. Lo tira fuori soltanto nei momenti più difficili quando le lacrime salgono agli occhi. L'orologio era di suo figlio Riad. E il 13 marzo era la data della sua partenza per Lampedusa. Era accaduto tutto così in fretta in quei giorni. Quella improvvisa idea di vendere il computer nuovo. E poi la partenza per Sfax con Mohammed e Mustafa. Neanche il tempo per salutarsi e dirsi le cose che contano, che Riad giaceva senza vita in una cella frigorifero dell'ospedale di Sfax. Annegato davanti all'isola di Kerkennah assieme a 39 dei 45 passeggeri di un vecchio peschereccio di 9 metri diretto a Lampedusa.

Soltanto in cinque riuscirono a salvarsi. Tutti gli altri vennero ingoiati dalle acque gelide e scure del Mediterraneo. Dopo qualche giorno, le correnti rigettarono sulla riva alcuni dei cadaveri. Diciassette corpi in tutto. Resi irriconoscibili dal sale e dai pesci. Il cadavere di Riad era tra quei 17. Il padre l'ha potuto riconoscere grazie all'orologio che portava sempre al polso. Lo stesso che oggi custodisce nel cassetto insieme agli articoli di giornale di quei giorni che parlano dell'ennesima strage in frontiera.

Oggi Riad è sepolto nel cimitero di Bab 3alioua a Tunisi. Non lontano si trovano le bare dei fratelli Hamrouni. Mohammed e Mustafa, classe 1983 e 1985. Di loro Riad si fidava ciecamente. Non soltanto perché si conoscevano fin da bambini, ma anche perché Mohamed aveva già fatto una volta la traversata. Era il 2008 ed era riuscito a trasferirsi a Brescia, dove aveva lavoricchiato un paio di anni prima di essere espulso nel 2009. Con la rivoluzione e l'apertura della frontiera tunisina, Mohamed aveva deciso di riprovarci e di portarsi dietro anche il fratello più piccolo. I genitori, di estrazione molto popolare, avevano deciso di sostenerli. Dopotutto il padre ormai settantenne non aveva di meglio da offrire loro, con la magra pensione di 100 euro al mese e con altre due figlie a carico, una delle quali separata e con un bambino. Fu così che la madre, Zuhra, decise di pagare i biglietti della traversata con i soldi che aveva da parte: 1.700 euro circa, con cui ha comprato la morte dei figli.

Chi invece di tutto questo non ne sapeva niente era il signor Omran. Un ex funzionario del ministero dell'interno, oggi in pensione, che da qualche mese attraversa la capitale da un quartiere all'altro nell'ostinato tentativo di raccogliere più informazioni possibili sui ragazzi dispersi in mare. Informazioni da condividere con i sempre più numerosi iscritti alla sua neonata associazione delle famiglie dei dispersi in mare al largo di Lampedusa. Suo figlio Mortada3a all'Italia non ci aveva mai pensato. Anche perché in Tunisia non gli mancava niente. Aveva avuto la possibilità di studiare alle superiori. Aveva la sua cameretta personale, il computer, e delle prospettive nella vita. Ma aveva anche e soprattutto 20 anni. E una voglia matta di vedere il mondo, di viaggiare e scoprire se stesso. L'anno prima aveva già chiesto un visto per motivi di studio in Canada, ma senza riuscire a ottenerlo. Fu così che il 13 marzo partì anche lui. Era sulla barca di Riad, Mohammed e Mustafa. Il biglietto glielo pagò il fratello maggiore, ingegnere. Oggi è sepolto nello stesso cimitero.

Tutti e quattro morti nel fiore degli anni. Uccisi dalla frontiera. Traditi dalla rivoluzione. Loro che durante le proteste per la caduta del regime di Ben Ali erano scesi in piazza. Prima a manifestare, poi a presidiare i quartieri nei giorni di vuoto di potere, quando il paese rischiava di precipitare nel caos. Loro che alla fine avevano deciso di bruciare la frontiera per cercare il riscatto in quella terra che avevano sempre sognato e che adesso finalmente potevano raggiungere. Un sogno che si è presto tramutato in incubo per i loro familiari e per tutti noi, che li abbiamo persi per sempre.

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