05 September 2011

Centri di identificazione e espulsione: scheda e foto


Foto dai cie di Torino, Crotone, Roma, Modena, Trapani, Gradisca e Caltanissetta

CIE sta per centro di identificazione ed espulsione. Dentro ci finiscono grossomodo quattro categorie di persone della popolazione non comunitaria residente in Italia. I viaggiatori, ma solo quelli che viaggiano senza il timbro del visto sul passaporto, come quelli che arrivano a Lampedusa. I lavoratori in nero che hanno la sfortuna di essere fermati dalla polizia per un banale controllo di identità, a un posto di blocco o alla stazione del treno, e che il permesso di soggiorno lo devono ancora fare, perché aspettano la sanatoria, oppure gli è scaduto. I poveri, che dormono per strada o in una casa occupata, vivono ai margini della società e campano di espedienti, magari spacciando o prostituendosi, e che sono più spesso oggetto delle retate della polizia che non degli interventi dei servizi sociali. E infine i detenuti, che spesso coincidono con i poveri, spesso condannati per piccoli reati, e che a fine pena vengono portati al CIE.

Viaggiatori, lavoratori, poveri, detenuti, il destino è lo stesso per tutti: il rimpatrio. A prescindere da quanti anni abbiano passato in Italia e se in Italia abbiano tutta la famiglia, figli compresi. La detenzione nei CIE può durare fino a 18 mesi, con una convalida del giudice di pace ogni due mesi. Questo periodo serve alle autorità per identificare i reclusi, e ottenere dalle ambasciate dei loro paesi un lasciapassare per il rimpatrio. Nonostante i lunghissimi tempi di detenzione, in almeno metà dei casi la deportazione non arriva a buon fine e i detenuti vengono rimessi in libertà sul territorio italiano, di nuovo senza documenti, fino a quando la polizia non li fermerà di nuovo per un banale controllo d'identità e li riporterà al Cie per la seconda, la terza, la quarta volta.