07 February 2011

Tahrir: la bibbia e il corano fi yid wahda


CAIRO – Bibbia e Corano contro il regime. Succede anche questo a piazza Tahrir. Amin per esempio ha la barba bianca, indossa una gallaba tradizionale e sulla fronte ha il tipico callo degli uomini pii avvezzi alle preghiere e alle genuflessioni che portano la testa a contatto con la terra, cinque volte al giorno. Nella mano sinistra tiene stretto un corano che agita in aria ogni volta che ripete gli slogan della folla. Seduto accanto a lui, Michel ripete gli stessi identici slogan. Ma in mano tiene una croce ritagliata da un foglio di carta bianco, in mezzo alla quale ha scritto in arabo Irhal, vattene. L'invito evidentemente è rivolto a Mubarak, contro il quale si è formato un fronte comune tra copti e musulmani d'Egitto.

Basta vedere le bandiere che sventolano dai muri di piazza Tahrir. Qualcuno ha rispolverato il vecchio simbolo dei tempi della rivoluzione contro i coloni britannici. Uno stemma posto al centro della bandiera, dove oggi c'è l'aquila, che ritrae in azzurro una mezza luna crescente e una croce. Sono i simboli delle due grandi religioni egiziane, entrambe schierate contro il regime di Mubarak. Un'alleanza che si traduce anche negli slogan coniati dalla piazza in questi giorni.

Stamattina ad esempio la folla cantava: Al qur'an wal inghìl bi yatlabu arrahìl! Ovvero: il corano e il vangelo per chiedere la dipartita, evidentemente di Mubarak. Oppure: Ana Mariam wa Ana 'Aisha, Ana Gama'a wa Ana Kanissa, ovvero: Sono Maria e sono Aisha, sono la moschea e sono la chiesa. Slogan che hanno rotto l'emozione forte seguita alla preghiera ecumenica tenutasi questa mattina in una piazza gremita, che per il tredicesimo giorno consecutivo ha visto sfilare decine e decine di migliaia di persone. All'orazione hanno partecipato musulmani e copti. Che hanno pregato insieme per tutti i martiri, si stima siano 350, uccisi dalla polizia di Mubarak e dai suoi squadristi nella prima settimana di scontri, al Cairo e in tutto il paese. Le loro fotografie iniziano a comparire nei poster della piazza. Li hanno portati i familiari e gli amici delle vittime. Altri invece hanno appeso a destra e sinistra la pagina 9 del quotidiano Almasry alyoum, che oggi pubblica le fotografie e le storie di 11 dei martiri.

Tra le risate di Amin e Michel, un terzo signore, che stringe un cartello con disegnata una croce e una mezza luna, si abbassa il polsino della camicia per mostrarmi il tatuaggio della croce sul polso. “Cristiani e musulmani, non c'è differenza. Vogliono dividerci, come quando hanno messo la bomba a Alexandria. Ma restiamo uniti e chiediamo le stesse cose: libertà, dignità e possibilità di scegliere. Chiediamo la caduta del regime!”.

Tutto questo per dire che vista da dentro questa rivoluzione non porta i germi di nessuno scontro di civiltà. Anche perché non sono i Fratelli Musulmani né i copti i promotori di questa rivoluzione. È nato tutto dai ragazzi di facebook, in modo spontaneo, e solo in un secondo momento l'opposizione, e quindi i Fratelli Musulmani ma anche Kifaya, Ghad, Wafd e il movimento del 6 aprile, li hanno appoggiati. A spiegarmi tutto questo è un alto esponente dei fratelli musulmani. Abdelfattah Hasan, ex parlamentare, nonché professore di lingua italiana presso l'università Ain Eshams al Cairo.

Forse qualcuno dei lettori lo avrà già incrociato a Roma, visto che ha vissuto nella capitale italiana durante gli anni del dottorato in letteratura italiana e a Roma è stato per anni l'imam vicario della grande moschea, prima di rientrare in patria e darsi alla politica con il movimento dei Fratelli Musulmani. Di sé e del suo movimento, dice che non sono lo “spaventapasseri” dipinto dall propaganda in Egitto e all'estero. E che al contrario sono pronti al dialogo con tutte le anime della società civile. E forse non è un caso che il suo ultimo libro tradotto dall'italiano all'arabo si intitoli proprio “I nemici del dialogo”, di Jacobucci.

C'è solo una cosa che forse non è andata giù al professore. “La chiesa copta almeno si è smarcata da Mubarak, e ha condannato ufficialmente il regime. Molti imam invece fino a venerdì scorso hanno invitato i fedeli a tornare a casa, argomentando che secondo la tradizione del profeta non sarebbe legittimo ribellarsi contro il proprio governante. Alcuni hanno usato addirittura parole di condanna per i ragazzi, scaricando su di loro la colpa degli incidenti avvenuti, mentre nessuna parola di condanna è giunta per gli esecutori e i mandanti del massacro. Ma è risaputo che gli imam sono controllati dal governo”.


Questo è soltanto un racconto di piazza Tahrir, per seguire l'attualità in diretta dall'Egitto vi consigliamo lo speciale live di Aljazeera English
La fotografia del post è della Reuters