Novanta morti alle frontiere in un mese, 44 in un solo incidente sulle strade della Turchia, è l'episodio più grave dopo i 58 morti di Dover nel 2000
Il silenzio e l'oblio. E' il 20 maggio 2006, e nella Turchia meridionale, sull'autostrada per Osmaniye, in provincia di Adana, un camion tampona a grande velocità l'autotreno che lo precede. Nell'incidente perdono la vita l'autista e un altro uomo in cabina, la merce è rovinata: 44 uomini provenienti da Afghanistan e Bangladesh, nascosti nel retro del tir sognando l'Europa, non raggiungeranno mai la loro meta. Di loro non rimangono che 44 cadaveri. Quelli che saranno identificati verranno rimpatriati a spesa della famiglia, ammesso che se lo possa permettere. Per gli altri niente cerimonie funebri, al massimo una bara sotto un palmo di terra, e una croce senza nome. Tra qualche anno il padre, la madre, i fratelli, gli amici, la sposa e, se ci sono, i figli, si chiederanno se davvero non sia successo qualcosa al loro caro, prima di consegnarlo all'oblio. Un'oblio il cui primo complice è la stampa. Quella che è la seconda tragedia sulle strade del Mediterraneo e dell'Europa, dopo i 58 morti di Dover nel 2000, guadagna un lancio d'agenzia della Associated press e uno della France press. Il principale giornale greco in lingua inglese, Kathimerini, dedica 6 righe all'evento, nella sezione "Balcani in breve". La prima agenzia di stampa italiana, Ansa, non ne parla, e lo stesso silenzio si registra su tutti i quotidiani italiani.
La paura fa novanta. Un silenzio dietro cui si nascondono nel solo mese di maggio i nomi di 90 persone morte tentando di passare le frontiere europee senza un visto d'ingresso. Per loro il ruolo di comparse occasionali sulle brevi e brevissime di tutte le testate del Mediterraneo. L'archivio on line Fortress Europe tenta di farne memoria. Ecco cosa è successo il mese scorso al confine. Alla tragedia di cui sopra si aggiunge la morte di 46 persone in mare, di cui 27 corpi sono andati dispersi. Il 3 maggio affonda al largo di Kusadasi, in Turchia, una piccola imbarcazione diretta all'isola greca di Samos. Morti due passeggeri, uno è disperso. Dieci giorni dopo, il 13 maggio, viene ritrovata ai Caraibi, al largo di Barbados, un'imbarcazione alla deriva nell'Atlantico da tre mesi, dopo che era partita da Capo Verde per la Spagna. A bordo 11 cadaveri ormai mummificati, ma anche i documenti di altre 26 persone, scomparse nel nulla. Il 18 maggio è la volta della Tunisia: al largo di Sfax viene avvistata un'imbarcazione alla deriva, a bordo 7 passeggeri morti.
Se la matematica non è un'opinione. Le cifre parlano da sole, ma l'emergenza frontiera dura da quasi vent'anni. Secondo la rassegna stampa di Fortress Europe dal 1988 ad oggi si ha notizia certa della morte lungo i confini europei di 5.341 persone, tra cui 2.353 dispersi. Una tragedia concentrata perlopiù sulle rotte non autorizzate dalla Turchia alla Grecia, dalla Libia e dalla Tunisia alla Sicilia e a Malta, dall'Albania alla Puglia, dal Marocco, dall'Algeria e dalla Mauritania alla Spagna. Nel Canale di Sicilia i morti sono 1.647, di cui 686 dispersi. Nell'Egeo hanno perso la vita 398 uomini, di cui 182 dispersi, mentre sulla direttrice spagnola sono cadute 2.200 persone, 1.423 quelle disperse. A questi vanno poi aggiunti i 16 ammazzati dal fuoco della Guardia civil e della polizia marocchina lungo le barriere al confine delle enclave spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla. Infatti non è solo il mare ad uccidere. Nascoste nei tir o in container imbarcati su mercantili diretti nei porti europei hanno perso la vita 257 persone e altre 19 sono morte nascoste sotto i treni della Manica. I campi minati di Evros, al confine tra Grecia e Turchia, hanno ucciso 77 uomini. Almeno 133 i morti di stenti attraversando il Sahara verso la Libia e 33 gli assiderati percorrendo a piedi i valichi della frontiera in Turchia, Grecia, Italia e Slovacchia, a cui si somma la scomparsa di 51 persone annegate nei fiumi al confine tra Croazia e Bosnia, Turchia e Grecia, Slovacchia e Austria, Slovenia ed Italia.
Il silenzio e l'oblio. E' il 20 maggio 2006, e nella Turchia meridionale, sull'autostrada per Osmaniye, in provincia di Adana, un camion tampona a grande velocità l'autotreno che lo precede. Nell'incidente perdono la vita l'autista e un altro uomo in cabina, la merce è rovinata: 44 uomini provenienti da Afghanistan e Bangladesh, nascosti nel retro del tir sognando l'Europa, non raggiungeranno mai la loro meta. Di loro non rimangono che 44 cadaveri. Quelli che saranno identificati verranno rimpatriati a spesa della famiglia, ammesso che se lo possa permettere. Per gli altri niente cerimonie funebri, al massimo una bara sotto un palmo di terra, e una croce senza nome. Tra qualche anno il padre, la madre, i fratelli, gli amici, la sposa e, se ci sono, i figli, si chiederanno se davvero non sia successo qualcosa al loro caro, prima di consegnarlo all'oblio. Un'oblio il cui primo complice è la stampa. Quella che è la seconda tragedia sulle strade del Mediterraneo e dell'Europa, dopo i 58 morti di Dover nel 2000, guadagna un lancio d'agenzia della Associated press e uno della France press. Il principale giornale greco in lingua inglese, Kathimerini, dedica 6 righe all'evento, nella sezione "Balcani in breve". La prima agenzia di stampa italiana, Ansa, non ne parla, e lo stesso silenzio si registra su tutti i quotidiani italiani.
La paura fa novanta. Un silenzio dietro cui si nascondono nel solo mese di maggio i nomi di 90 persone morte tentando di passare le frontiere europee senza un visto d'ingresso. Per loro il ruolo di comparse occasionali sulle brevi e brevissime di tutte le testate del Mediterraneo. L'archivio on line Fortress Europe tenta di farne memoria. Ecco cosa è successo il mese scorso al confine. Alla tragedia di cui sopra si aggiunge la morte di 46 persone in mare, di cui 27 corpi sono andati dispersi. Il 3 maggio affonda al largo di Kusadasi, in Turchia, una piccola imbarcazione diretta all'isola greca di Samos. Morti due passeggeri, uno è disperso. Dieci giorni dopo, il 13 maggio, viene ritrovata ai Caraibi, al largo di Barbados, un'imbarcazione alla deriva nell'Atlantico da tre mesi, dopo che era partita da Capo Verde per la Spagna. A bordo 11 cadaveri ormai mummificati, ma anche i documenti di altre 26 persone, scomparse nel nulla. Il 18 maggio è la volta della Tunisia: al largo di Sfax viene avvistata un'imbarcazione alla deriva, a bordo 7 passeggeri morti.
Se la matematica non è un'opinione. Le cifre parlano da sole, ma l'emergenza frontiera dura da quasi vent'anni. Secondo la rassegna stampa di Fortress Europe dal 1988 ad oggi si ha notizia certa della morte lungo i confini europei di 5.341 persone, tra cui 2.353 dispersi. Una tragedia concentrata perlopiù sulle rotte non autorizzate dalla Turchia alla Grecia, dalla Libia e dalla Tunisia alla Sicilia e a Malta, dall'Albania alla Puglia, dal Marocco, dall'Algeria e dalla Mauritania alla Spagna. Nel Canale di Sicilia i morti sono 1.647, di cui 686 dispersi. Nell'Egeo hanno perso la vita 398 uomini, di cui 182 dispersi, mentre sulla direttrice spagnola sono cadute 2.200 persone, 1.423 quelle disperse. A questi vanno poi aggiunti i 16 ammazzati dal fuoco della Guardia civil e della polizia marocchina lungo le barriere al confine delle enclave spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla. Infatti non è solo il mare ad uccidere. Nascoste nei tir o in container imbarcati su mercantili diretti nei porti europei hanno perso la vita 257 persone e altre 19 sono morte nascoste sotto i treni della Manica. I campi minati di Evros, al confine tra Grecia e Turchia, hanno ucciso 77 uomini. Almeno 133 i morti di stenti attraversando il Sahara verso la Libia e 33 gli assiderati percorrendo a piedi i valichi della frontiera in Turchia, Grecia, Italia e Slovacchia, a cui si somma la scomparsa di 51 persone annegate nei fiumi al confine tra Croazia e Bosnia, Turchia e Grecia, Slovacchia e Austria, Slovenia ed Italia.