Ormai quella eritrea è la prima nazionalità dei richiedenti asilo in Israele. Sono sia membri delle Chiese pentecostali, perseguitati in patria, sia disertori dell'esercito. Tutti arrivano transitando in Egitto, attraverso il deserto del Sinai. Dopo aver tollerato per anni la presenza di migliaia di migranti sul suo territorio, l'Egitto ha inaugurato una stagione di dura repressione dopo le pressioni fatte dal governo israeliano per il confine del Sinai. Dall'inizio dell'anno almeno 20 rifugiati africani, tra cui una bambina sudanese di sette anni, sono stati ammazzati a colpi di arma da fuoco da agenti della polizia egiziana, mentre tentavano di superare la frontiera con Israele.
Secondo Amnesty International 740 degli eritrei rimpatriati dall'Egitto a giugno sarebbero ancora detenuti in campi militari. Anat Ben Dor, direttrice della Clinica dei diritti dell'Università di Tel Aviv, ha presentato un ricorso per fermare le deportazioni. Intanto al Parlamento israeliano si sta discutendo la nuova legge anti infiltrazione. Se approvata, prevede riaccompagnamento immediato alla frontiera e 5 anni di carcere per il reato di immigrazione clandestina, che diventano 7 per i cittadini degli Stati nemici: Iran, Afghanistan, Libano, Libia, Sudan, Iraq, Pakistan, Yemen e Palestina.
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