17 May 2011

Rivoluzionari e razzisti? Un libico nero a Lampedusa racconta


Finora di libici a Lampedusa ne sono arrivati pochissimi. Solo una cinquantina su oltre 12.000 persone che hanno attraversato il mare negli ultimi due mesi partendo dai porti di Tripoli, Janzour e Garaboulli. Younes è uno di loro. E sulla Libia ha le idee molto chiare.
È un carrozziere di ventisei anni. Lavorava a Khums, una cittadina a metà strada tra Misrata e Tripoli. A Lampedusa è arrivato tre settimane fa e adesso si trova in un centro di accoglienza in Sicilia. Quando gli chiedo perché ha lasciato la Libia, fa un sorriso e punta lo sguardo sulle sue mani, indicando con un cenno il colore della pelle. Ana asmar. Sono nero. Proprio così, Younes fa parte dell'importante minoranza nera del sud del paese. La sua famiglia vive a Ubari, un'oasi a duecento chilometri dalla città di Sebha, in mezzo al Sahara. Ma nonostante abbia la cittadinanza libica, anche lui ha avuto paura, né più né meno di tutti i neri rimasti in Libia e che oggi rischiano di trovarsi in mezzo ai due fuochi. E a dire il vero rischiano soprattutto di finire sotto il fuoco dell'armata dei liberatori. I ribelli, che lui definisce semplicemente al-muaradha, ovvero l'opposizione. E che accusa di aver sdoganato il razzismo e di aver perpetrato crimini indiscriminati contro i neri, libici o stranieri che fossero, con la giustificazione di vendicare il sangue versato dai mercenari africani scagliati da Gheddafi contro la popolazione. Le prove di quello che dice si trovano su youtube. E sono i video amatoriali girati dai ragazzi con i telefonini mentre le folle in preda al delirio infieriscono sui cadaveri del nemico o interrogano con veemenza improbabili mercenari, che dall'aspetto sembrano piuttosto sfortunati cittadini neri capitati al posto sbagliato nel momento sbagliato. Come dire che la violenza chiama violenza. E che la guerra in Libia, pur essendo nata come una guerra di liberazione, ha fatto esplodere la bomba del razzismo. Il disprezzo e l'odio razziale esistevano già ai tempi di Gheddafi, ma erano contenuti da un minimo di controllo sociale. Adesso invece, dai racconti di Younes e dai video che abbiamo raccolto su Youtube, si direbbe di assistere da una lato alla liberazione del paese da Gheddafi, e dall'altro alla liberazione del paese dai neri. Una questione cruciale che la Libia libera di domani dovrà affrontare da subito. Anzi da adesso, per evitare che anche la battaglia finale per la liberazione di Tripoli – che ormai va avanti da diversi giorni - diventi l'ennesimo bagno di sangue innocente. Di seguito l'intervista con Younes.

Il 17 febbraio, quando a Benghazi sono cominciati gli scontri tra manifestanti e milizie di Gheddafi, intorno alla caserma della Katiba, tu eri ancora a Khums.

“Sì, all'inizio seguivamo le notizie su Al Jazeera e Al Arabiya. I problemi erano circoscritti a Benghazi e sembrava tutto così lontano da Khums e dalla capitale. Così ci dicevamo che era una cosa piccola, e che si sarebbe risolta nel giro di qualche giorno. Poi invece abbiamo visto la cosa crescere. Seguivamo Al Jazeera perché sui canali libici non dicevano la verità. E abbiamo capito che era una liberazione del paese. In quel momento eravamo tutti con l'opposizione, tutti i cittadini erano contro Mu'ammar.”

Poi però è successo qualcosa...

“A un certo punto l'opposizione ha iniziato a dire che i neri erano i mercenari di Gheddafi. Sapevano che erano neri libici e non mercenari africani, eppure li catturavano e li uccidevano per strada. Li portavano sopra i ponti e li impiccavano. L'hanno fatto vedere in televisione, su Al Jazeera. Il problema è che le televisioni, Al Jazeera e Al Arabiya, hanno detto che quelli che avevano ammazzato erano miliziani di Gheddafi invece quelli che avevano ammazzato erano neri qualunque. C'è stato un uomo a Misrata che l'hanno bruciato, poi gli hanno aperto il petto con un coltello, gli hanno tirato fuori il cuore e l'hanno buttato a terra per pestarlo coi piedi. Il popolo ha visto tutto. Queste cose però le facevano vedere sul canale libico. Perché noi per capire i dettagli guardavamo anche la tv libica e abbiamo visto che in realtà erano i ribelli a causare i problemi.”

A Tripoli è successo lo stesso. Ricordo i racconti di tanti somali e eritrei della capitale nei giorni della caccia all'uomo dopo le prime manifestazioni. Avevano paura anche a uscire di casa...

“A un certo punto se ammazzavano un nero dicevano che tanto era uno dei mercenari africani. Il popolo si è diviso. Alla fine avevi paura anche a uscire di casa. Ti vedevano per strada e anche se non erano dell'opposizione a Khums, magari ti ferivano. Insomma era un disastro, molto pericoloso. Non andavo da nessuna parte, e per esempio il pane dicevo a un amico di portarmelo e io restavo a casa. E i problemi aumentavano giorno dopo giorno.”

Ma i mercenari ci sono oppure no? Perché tutte le operazioni razziste sono nate come risposta, per quanto incontrollata e violenta, alle stragi perpetrate dai mercenari.

“All'inizio dei problemi, non c'erano mercenari. Forse dopo sono entrati, ma all'inizio no. Adesso io non sono dell'esercito e non ho informazioni sufficienti, però sono sicuro che all'inizio non c'erano mercenari, perché nell'esercito ci sono molti soldati neri, è risaputo, li reclutano nelle mie zone, a Sebha. All'inizio non c'erano mercenari. Poi forse hanno iniziato, perché nel sud ci sono molti stranieri e forse gli hanno dato le armi e hanno iniziato a sparare anche loro. Ma solo nell'ultimo periodo sono entrati mercenari, all'inizio non era così. Questo è quello che mi immagino.”

E com'era la vita a Khums in quei giorni?

“Anche a Khums ogni giorno sentivamo sparare proiettili, e poi sono cominciati i bombardamenti della Nato sulle caserme militari. La vita era diventata difficile... L'uomo, il cittadino, non sapeva cosa sarebbe successo domani, se saremmo stati vivi o morti, se avremmo avuto i nostri diritti, e il lavoro... non sapevi neanche se il giorno dopo avresti lavorato e mangiato. E di notte, ogni notte sentivi il rumore dei proiettili o del bombardamento. E in tutto questo, i negozi erano chiusi. E quando ne trovavi uno aperto compravi una scorta di cibo, per cucinare a casa. E in strada non c'era sicurezza. Tutti avevano paura. Soprattutto dopo il tramonto, magari uno ti entrava a casa, ti colpiva e tu non potevi fare niente, non c'era polizia, non c'era niente. Stavamo nella paura. E soprattutto io come straniero. Quella non era la mia regione, ero straniero e per questo la mia vita era in pericolo. Pericolo, pericolo, pericolo. Quelli del posto, ognuno aveva una famiglia, dei parenti per andare a dormire e vivere con loro. Io certo avevo molti amici, però non ero un cittadino di quella regione. E in quella regione non ci sono neri, sono tutti bianchi. E a un certo punto essere nero era diventato difficile e pericoloso. Pericoloso, pericoloso.”

Scusa ma perché non sei tornato dalla tua famiglia nel Sahara allora?

“Volevo tornare a casa, nel sud, a Ubari. Il problema però era la strada. Considera che sono duecento chilometri dopo Sebha. E che per arrivare a Sebha ci sono solo due strade, una da Tripoli e una da Misrata. Il problema però era che a Misrata c'erano gli scontri e non potevi passare con la macchina. E la strada da Tripoli si bloccava a Gharian e a Zuwara, perché anche in quelle città c'erano scontri e non si poteva passare. E così non potevamo andare né dalla strada da Misrata né dalla strada da Tripoli. E intanto ogni giorno la mia vita era in pericolo, e avevo paura, sempre a chiedermi: domani che sarà?”

E poi mi dicevi che oltre al rischio di essere scambiato per un mercenario dai ribelli e essere ammazzato, c'era pure il rischio di essere arruolato nell'esercito di Gheddafi...

“Sì anche perché molti soldati sono del sud, della zona di Sebha. Ma succede in ogni regione comunque. Se ti fermano a un posto di blocco, e adesso ce ne sono molti, ti chiedono se sei già nell'esercito o se sei un cittadino e se dici che sei un cittadino ti portano in una caserma, ormai il reclutamento è diventato obbligatorio, negli ultimi tempi. Per questo, come ti ho detto, avevo paura di andare da Khums a Tripoli, avevo paura che mi fermassero, così sono andato di nascosto, con un autista che conosceva tutte le strade secondarie della campagna, senza mai prendere la strada principale.”

E una volta arrivato a Tripoli, hai deciso di lasciarti la guerra alle spalle...

“Ho preso contatto con dei sudanesi e gente di un'altra nazionalità per sapere come fare la migrazione. A quel punto ormai mi ero convinto che non c'era altra soluzione. Da quando avevo cominciato a sentire che c'erano queste navi che ogni giorno partivano dal porto di Tripoli per l'Italia. E poi avevo sentito che in Italia c'erano associazioni per i diritti umani e la protezione internazionale e tutte le cose. Avevo molti amici sudanesi e egiziani, che lavoravano con me, e sono stati loro a dirmi le cose. All'inizio non volevo attraversare il mare, ma poi guardando la situazione in Libia complicarsi di giorno in giorno... per noi era necessario rischiare, perché lì non c'era più una soluzione. Perché lì ok forse oggi va bene, ma domani non lo sai, magari arriva l'opposizione e ti ammazza. Capito come?”

Ormai sei in Italia da tre settimane. Com'era Tripoli quando l'hai lasciata?

“A Tripoli non ho visto i posti dove hanno bombardato, ho soltanto sentito il rumore, ma era lontano da dove stavo. E poi sentivamo i rumori degli spari, come di scontri a fuoco, la notte. Noi ci spostavamo da una città a un'altra, poi in una fattoria e infine siamo rimasti in una caserma. Finché una macchina privata è venuta a prenderci e ci ha portato al porto, il porto di Tripoli. Il grande porto commerciale dietro la vecchia medina e davanti all'hotel Kebir, vicino al ponte. Nel porto c'erano i militari, sulla nostra barca saremmo stati in 700 passeggeri, era una barca grande, diciamo un 18 metri. Io e i miei amici sudanesi siamo partiti pagando 600 dinari a testa (300 euro, ndr.), ma c'è gente che paga di più, soprattutto gli stranieri.”

Hai visto vittime civili dei bombardamenti della Nato?

“La Nato non colpisce obiettivi civili, colpiscono soltanto le caserme dove c'è l'esercito. Però dicono che ci siano stati dei civili uccisi a Tripoli. L'ho sentito dire, magari erano case vicine alle caserme e ai depositi di armi. Io non ho visto niente, ho solo sentito il rumore dei bombardamenti. È la guerra. La Libia oggi è un posto molto pericoloso.

Ma tu chi sostieni? Il regime di Gheddafi o l'opposizione?

“Il problema in Libia è che non sai più chi ha ragione e chi ha torto. Chi riporterà la pace in Libia come prima? Mu'ammar o l'opposizione. Io non ci vedo più chiaro. Incoraggio chiunque riporterà il paese alla sicurezza e alla vita come era prima. Ma non qualcuno come loro, l'opposizione o il regime dico. Non incoraggio nessuno che abbia le armi. Per me sono tutti gli stessi, tutti mi spaventano allo stesso modo. Gheddafi ha portato il paese alla dittatura. Ma l'opposizione ha portato il razzismo.”

Eppure all'inizio tutto il popolo era con l'opposizione.

“La percentuale di quelli che stanno con Mu'ammar è molto piccola. Tutti vogliono una vita nuova in Libia, vogliono un nuovo regime, vogliono la democrazia, senza intermediazioni, senza storie, vogliono una seconda vita. In Libia ci sono i soldi, è possibile un cambiamento e tutti lo vogliono. Tutti vogliono cambiare il regime di Mu'ammar. E tutti avrebbero sostenuto l'opposizione se l'opposizione avesse seguito una strada normale. Se fossero andati verso la democrazia e la giustizia, il popolo si sarebbe opposto contro Gheddafi di più, molte regioni si sarebbero opposte e tutti li avrebbero aiutati e sostenuti. Se non avessero ucciso le persone e non avessero fatto quelle operazioni razziste, tutto il popolo li avrebbe incoraggiati e tutti saremmo stati con loro. E infatti all'inizio, la maggior parte del popolo era con l'opposizione. Volevamo il cambiamento ma poi abbiamo perso la fiducia. Se combatti contro un regime, vuoi che arrivi qualcosa di migliore. E invece è arrivato qualcosa di peggio, qualcosa di cattivo. Più razzismo e meno sicurezza, più instabilità e altri Paesi che intervengono nella questione. Per questo, come ti ho detto, nessuno sa più chi sostenere e a chi opporsi adesso. E nessuno sa cosa sarà domani della Libia.”

Dici che tutti vogliono il cambiamento. Come mai, in Libia non si stava bene ai tempi di Gheddafi?

“In Libia ci andava tutto bene dal punto di vista economico, però per la politica c'era una linea rossa, nessuno ne poteva parlare. Non potevi parlare, era un affare di Mu'ammar. Anche i problemi dell'estero, per esempio in Tunisia o in Palestina, li guardavi in televisione, magari sui canali stranieri per saperne qualcosa di più, però poi in strada non ne parlavi mai con nessuno. Per la politica non c'erano parole. Era proibito. Perché magari ne parlavi con qualcuno e dietro c'era un altro che ti sentiva, faceva il tuo nome e finivi dritto in carcere. E per questo non c'erano parole sulla politica. Stavi zitto e guardavi. Basta. Questo era il clima in Libia.”


Quali altri errori ha fatto secondo te l'opposizione?

“Non solo le operazioni razziste, ma anche l'ingresso di altri Stati nella questione, che poi è il motivo per cui ormai nessuno sa bene chi ci sia dietro di loro. Ma se avessero fatto come hanno fatto l'opposizione in Tunisia e l'opposizione in Egitto, tutto il popolo sarebbe stato con loro. Perché tutto il popolo vuole un regime nuovo e uno sviluppo. Ma per gli errori commessi, ora il popolo non sa più scegliere. Chi scegliere tra Gheddafi e l'opposizione? Però è chiaro che tutti vogliono un regime nuovo. Tutti vogliono cambiare Mu'ammar, e questa poteva essere una occasione per migliorare e cambiare il regime.”

Comunque non è che il razzismo in Libia sia qualcosa di nuovo...

“Il razzismo c'è sempre stato. Per esempio un nero nell'esercito o nello Stato, se non ha soldi avrà sempre problemi. Soprattutto nelle città della costa. Perché lì la maggior parte sono bianchi. Lì c'è razzismo. Addirittura noi neri sulla costa ci chiamano 'abid, che vuol dire schiavi, servi. Il razzismo c'è. Però adesso il problema è aumentato. È questo che mi spaventa nella Libia di oggi. Perché oggi non c'è sicurezza, non c'è controllo. E allora viene tutto a galla. Prima non c'era chi veniva e ti diceva tu non sei libico perché sei nero. Sì c'era chi ti chiamava schiavo, ma niente di più. Oppure ti dicevano vai via, per la strada, e tu te ne andavi, però nessuno ti aggrediva come oggi. E invece le cose sono cambiate con l'inizio dei problemi. Il razzismo è aumentato. E anche per questo i neri hanno più paura dell'opposizione. Ci sono state anche delle dichiarazioni dei leader dell'opposizione che volevano che i neri fossero rimandati nei loro paesi. Per questo i neri hanno particolarmente paura dell'opposizione. Eppure hanno lo stesso programma, vogliono cambiare il regime. Però se cambiano il regime di Mu'ammar con questa opposizione, arriverà una cosa migliore? Avendo visto gli errori dell'opposizione, la gente non sa più cosa scegliere e per questo oggi non è né con il governo né con l'opposizione. Stanno tutti zitti. E osservano. Fanno tutti così. Non hanno scelta. Vogliamo il cambiamento, sì. Però questa opposizione è preferibile? Non lo sappiamo. Si sono opposti sì, ma nello stesso tempo hanno commesso degli errori.”

E in tutto questo le minoranze nere al sud, cosa dicono? Stanno con Gheddafi o con i ribelli? E che reazione hanno al razzismo?

“Da noi al sud, nel deserto, non ci sono scontri. Là ci sono le tribù, sono tutti della stessa tribù, sono uniti, non c'è qualcuno che possa venire da fuori e dire fate in un modo o nell'altro. Loro hanno una sola parola. Non si oppongono a nessuno e non sostengono nessuno. La politica non è un loro problema. Loro guardano e basta. Capito come? Non c'è qualcuno che prende le armi e va contro qualcun altro. Tutti stanno a guardare. Perché le tribù del sud sono deboli. Capito come? Non hanno autorità, potere o armi. Sono obbligati a stare con il governo che c'è, e se arriva un governo nuovo, si tengono il governo nuovo. Non possono opporsi. Come adesso non si oppongono a Mu'ammar, non hanno armi, non hanno potere per opporsi a un governo, come per esempio stanno facendo a Misrata. Non dicono siamo con Mu'ammar e non dicono siamo contro, perché non hanno potere. E questo è lo stesso pure per il razzismo.”


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