29 July 2011

Ramzi che passò in un Cie 14 mesi degli ultimi 2 anni


Com'è lontana l'estate del 1996. E quella vacanza in crociera sul Mediterraneo. Ramzi aveva vent'anni. Da Tunisi erano partiti in sette. Studenti universitari, classe media, nessuna voglia di bruciare la frontiera e passare guai con la dogana. Qualche avventura con le ragazze a bordo era un programma più che allettante. E invece quella sera a Barcellona, ormai ubriachi dopo l'ennesima birra, decisero che sulla nave non sarebbero tornati. L'Europa era lì, tutta per loro, pronta a farsi corteggiare e conquistare. E quando si risvegliarono con un cerchio alla testa per la sbornia del giorno prima, la nave era partita davvero. I ricordi di quella ragazzata che gli ha cambiato la vita, riaffiorano a 15 anni di distanza. Stavolta però per Ramzi non c'è nessuna birra fresca con cui brindare alle follie della gioventù. Perché al centro di identificazione e espulsione di Roma, l'alcol è proibito. Ormai sono passati nove mesi dall'ultima birra. E dall'ultima passeggiata sul lungomare di Sanremo. Nove mesi dietro le gabbie dei centri di identificazione e espulsione. Prima Torino, poi Roma. Perché è vero che il limite massimo della detenzione nei Cie è di 6 mesi. Ma se ti rimpatriano nel paese sbagliato, è peggio che al Monopoli. Vai in prigione, salti un turno e ricominci dal via.

Questa è la storia di Ramzi. Un 35enne tunisino espulso per errore in Marocco dopo 5 mesi di reclusione nel Cie di Torino, e rispedito in Italia dopo 15 giorni di carcere a Casablanca, per finire di nuovo in un Cie, quello di Roma. Da dove hanno ricominciato a contare da zero. Come dire che adesso, con la nuova legge sui rimpatri, rischia di perdere altri 18 mesi della propria libertà. Lui che nei Cie ci ha trascorso 14 mesi soltanto negli ultimi due anni.

Ma partiamo dall'inizio. Che non è la gita a Barcellona del 1996, ma il primo controllo di documenti in Italia. Siamo nel 1998, Ramzi ha paura di essere espulso in Tunisia, e allora dichiara un nome falso, un nome iracheno: Rami Ali. Il trucco funziona, perché dopo un mese viene rilasciato dal cpt di Lamezia Terme.

Da allora si porterà sempre appresso quella doppia identità. Anche nel 2001, quando finisce in galera per spaccio. Si fa un anno. E poco dopo il rilascio viene fermato senza documenti e portato al Cie di Torino. È il 2003. Ancora una volta insiste con il nome iracheno, sicuro che gli eviterà il rimpatrio.

Invece una mattina, all'alba, lo vengono a tirare giù dal letto. Sono passati 22 giorni dal suo ingresso nel Cie. Il console l'ha identificato come cittadino marocchino. Probabilmente pensando che sia l'ennesimo che finge di essere iracheno e prova a cambiare accento. Non c'è tempo per le proteste, prima ancora che si renda conto di quello che sta accadendo, si ritrova al porto di Genova, sulla nave per Tangeri.

E in Marocco finisce direttamente in galera. Il reato è lo stesso che gli contesta l'Italia: ingresso clandestino sul territorio nazionale. La pena è di due mesi. L'inferno. Appena fuori non gli resta che presentarsi all'ambasciata tunisina di Rabat e chiedere i documenti per tornare in aereo a Tunisi.

Passano tre anni, e la voglia di tornare prende di nuovo il sopravvento. È ancora una nave a portarlo sulla riva nord del Mediterraneo. Non una crociera però, stavolta è un mercantile. Collega Tunisi a Marsiglia. Basta pagare la persona giusta per nascondersi nella stiva. La vita ricomincia dalla Francia. È l'estate del 2006. A Nice c'è un elettricista tunisino che gli dà lavoro alla giornata. Lui però fa base di qua dalla frontiera, a Sanremo, dove vive la famiglia del fratello. E intanto continua a arrotondare il magro stipendio vendendo il fumo.

La polizia però gli ha messo gli occhi addosso e lo controlla. Pochi mesi dopo scatta l'arresto. La condanna stavolta è pesante: 3 anni. E a fine pena, dal carcere di San Vittore, a Milano, lo portano direttamente al centro di identificazione e espulsione di Gradisca, in Friuli. È il 10 giugno del 2009.

Rami Ali aspetta che passino i 60 giorni del trattenimento. Quando però ha già le valigie pronte per tornare a Sanremo, il Parlamento converte in legge il pacchetto sicurezza. È il 9 agosto 2009. Il periodo massimo di detenzione nei Cie passa da 60 giorni a 6 mesi. La norma viene applicata in modo retroattivo. Ramzi deve farsi altri 4 mesi. Le rivolte che si susseguono a Gradisca e in altri Cie italiani non servono a cambiare le cose.

Dal centro di Gradisca esce soltanto a dicembre. È ridotto a uno straccio. Torna a Sanremo dal fratello. L'avvocato gli dice di starsene buono fino alla prossima sanatoria. Lui non mette più il naso fuori dalla città. Ma ancora una volta lo vengono a cercare. È il dicembre dell'anno successivo, il 2010. Quella mattina è al bar, sta bevendo il caffè con un amico. Il poliziotto lo riconosce. Conosce i suoi precedenti penali e quella mattina ha la faccia di chi vuole ridare una pulita al paese. Gli dice di seguirlo. Una notte in commissariato, e il giorno dopo è al Cie di Torino.

Lo stesso Cie da dove nel 2003 è stato espulso per errore. Gli spettri delle carceri marocchine tornano a farsi sentire. Stavolta Ramzi ha paura. Aspetta con ansia l'udienza di convalida del giudice di pace e gli ripete ossessivamente il suo vero nome, che non si chiama Rami Ali e che non è iracheno. Dice che già una volta da Torino l'hanno rimpatriato in Marocco, ma che quello non è il suo paese, e che lui viene dalla Tunisia. Il giudice lo tranquillizza, ma non ha la faccia di chi lo prende sul serio.

E quando, cinque mesi dopo, lo vengono a prendere in cella, capisce subito che qualcosa non va. È l'alba, prima gli legano i polsi dietro la schiena con lo scotch. Poi lo sbattono in una stanza con altri tre, un vecchio e due ragazzi, tutti e tre marocchini. Uno di loro è ricoperto di scotch dalla testa ai piedi, arrotolato come un salame, perché ha opposto resistenza, e ha una striscia di nastro adesivo anche sulla bocca perché non strilli sull'aereo. Si parte, destinazione Casablanca.

Per la seconda volta, una volta atterrato in Marocco, Ramzi viene arrestato per immigrazione clandestina. Stavolta però l'inferno dura soltanto 15 giorni. Le autorità marocchine hanno disposto di rispedire il pacco al mittente, basta che si ripaghi il biglietto aereo da solo. Una volta atterrato a Fiumicino, il gioco ricomincia da zero. Di nuovo un Cie. Questa volta a Ponte Galeria. E un periodo di 6 a 18 mesi, a seconda di cosa voterà il Senato, da passare in gabbia. Reo di viaggio. Harraga. Perdipiù recidivo.

Com'è lontana l'estate del 1996.