19 February 2013

Corti islamiche e servizi sociali. Islamisti ad Aleppo

Aleppo, Masakin Hananu, Distribuzione di aiuti alle donne

ALEPPO - “Che dio ci protegga! Non sto né con il regime né con l'opposizione. Bashar ci bombarda e quelli dell'esercito libero ci derubano. Aleppo era un gioiello. Oggi non c'è elettricità, gas, acqua, telefono. Niente. Io ho cinque figli, mio marito è morto sotto una bomba e devo venire a elemosinare il pane. Come siamo arrivati a questo punto? Chi ha seminato nei cuori dei nostri ragazzi tutto questo odio? Anche i soldati del regime sono i nostri figli. Chi ci guadagna da tutto questo sangue?”. Le donne intorno a Amal approvano. Saranno duecento. Molte hanno in braccio i bambini. Sono in fila da tre ore per ritirare un pacco di viveri. Alcune sono vedove di combattenti dell'esercito libero. Altre di soldati del regime. Ma ai loro occhi non fa molta differenza, chiamano martiri gli uni e gli altri.

Di là dalla cancellata si fa avanti un signore di mezza età. Si chiama Yusef 'Abbud. Brizzolato, la barba curata. Scambia due parole con alcune signore, con un tono rassicurante. Poi ordina ai ragazzi di iniziare la distribuzione. Nelle buste nere c'è olio, zucchero, riso, sale e farina. 'Abbud è un comandante dell'Esercito libero siriano, ma oggi non indossa la mimetica. È venuto in veste di presidente del Comitato per la diffusione del bene (Hayat Amr bil Ma'ruf), il braccio civile del Fronte islamico per la liberazione della Siria (Jabhat Tahrir Suriya al Islamiya), la nuova coalizione islamista dell'esercito libero. La più importante per numero di combattenti e per peso politico.

“Ci siamo appena costituiti – mi spiega 'Abbud - e contiamo già più di 125 battaglioni tra i più importanti: Liwa al Tawhid, Liwa al Fateh, Kataib al Faruq, Liwa al Nasr. Più di 30mila combattenti, praticamente tutta la corrente islamica moderata dell'Esercito libero. La nostra unione è il primo passo verso la costruzione di una Stato islamico moderato.”

I finanziamenti di questa nuova formazione arrivano sia da uomini d'affari siriani vicini ai Fratelli Musulmani, sia dai governi di Qatar e Turchia. E da una organizzazione caritatevole islamica turca arrivano gli aiuti alimentari che 'Abbud sta distribuendo alle donne.

“Lavoriamo su tre fronti. Il primo è il jihad, la guerra contro le forze del regime. Il secondo è la sicurezza delle zone liberate, abbiamo formato una Polizia Rivoluzionaria Islamica e dei Tribunali Islamici. Il terzo sono gli aiuti. Il popolo vive in condizioni di estrema povertà. Assistiamo migliaia di sfollati ad Aleppo che hanno perso la casa sotto le bombe. Stiamo ripulendo le piazze dalle montagne di spazzatura, presto ripareremo la rete elettrica, stiamo riaprendo le scuole e rifornendo gli ospedali di medicine”.

Resistenza armata, sicurezza e servizi sociali. Così gli islamisti provano a costruire il consenso nelle aree liberate dal regime. Prima però hanno dovuto riportare un po' di calma in città, cambiando strategia militare. Meno guerriglia urbana e più attacchi mirati a posti di blocco, convogli, basi e aeroporti militari del regime. Così, negli ultimi tre mesi sono cadute le principali basi da cui il regime bombardava Aleppo. Basi da cui i combattenti dell'Esercito libero hanno saccheggiato armi e munizioni in gran quantità. Comprese le armi che gli Stati Uniti avevano vietato di inviare all'opposizione siriana. Carri armati, lanciamissili, mortai, antiaerea. L'aviazione del regime continua a bombardare la città, ma con meno intensità. Da un lato perché gli aerei devono decollare da Homs e Hama visto che il regime non ha più aeroporti né a Aleppo né a Idlib. Dall'altro perché ormai il grosso dei combattimenti si è spostato a Damasco.

Così, tra le macerie di Aleppo si è aperto un nuovo fronte. Stavolta però non si combatte con le armi, ma con aiuti e servizi. In palio c'è il consenso per il governo di domani. E la partita è tra islamisti moderati e islamisti radicali. Con un grande assente che è la Coalizione nazionale dell'opposizione siriana di Moaz Khatib, che pure ha recentemente stanziato un milione di dollari per il nuovo Consiglio civile locale di Aleppo, una sorta di giunta civile che dovrebbe affiancare i comandi dell'esercito libero per amministrare la città e la sua provincia. Finora però di quei fondi non si è vista traccia. E la realtà sul terreno è un'altra: le uniche iniziative civili concrete sono quelle finanziate dai movimenti islamici moderati. Che però devono confrontarsi con i radicali del Jabhat al Nusra i quali, dopo aver guadagnato consensi sul fronte, hanno riportato ordine in città mettendo fine ai saccheggi praticati dall'Esercito libero grazie all'istituzione di due corti islamiche.

A spiegarmi come funziona è il generale Mohammad Khalil El 'Ali, un alto ufficiale dell'esercito del regime che ha disertato nel luglio 2012 e che oggi è a capo del consiglio militare curdo dell'esercito libero. “Ad Aleppo ci sono due corti islamiche. In ogni udienza siede un uomo di religione e un uomo di diritto. Uno sheikh e un avvocato. Il capo del tribunale però è uno sheikh. E la legge che viene applicata è la shari'a. La tradizione giuridica islamica prevede una pena per ogni reato.”

In pratica chiunque può sporgere denuncia e dopo un processo la corte condanna il colpevole a un periodo di detenzione o una multa. “La pena di morte è prevista soltanto in caso di omicidio – continua Khalil -. Per esempio hanno giustiziato molti shabbiha del regime. Per gli altri c'è il carcere. Durante la detenzione gli fanno studiare il Corano e i migliori studenti li fanno uscire prima per buona condotta”.

I tribunali però sono in mano agli islamisti radicali del Jabhat al Nusra, il Fronte della Vittoria. Una formazione militare islamista e internazionalista, formatasi in Siria la scorsa estate e vicina – secondo il Dipartimento di Stato Americano – ad Al Qa'ida. Secondo il generale Khalil, il Nusra conta non più di 4mila combattenti in tutta la Siria. Di cui solo il 15% sarebbero stranieri, giovani religiosi accorsi in Siria per difendere con le armi la comunità musulmana sunnita oppressa.

I sentimenti dei siriani verso il Jabhat el Nusra sono un misto di timore e rispetto. Timore perché l'islam radicale e l'idea di un califfato islamico sono lontani dal comune sentire. Rispetto, perché proprio per la loro devozione religiosa, gli uomini del Nusra si stanno rivelando non soltanto i migliori in battaglia ma anche i più onesti in città nei rapporti con i cittadini.

E infatti ad Aleppo, oltre ai tribunali, gli uomini del Nusra controllano anche i rifornimenti dei forni del pane e del carburante. Questo dopo che per mesi l'esercito libero aveva praticato pesanti estorsioni sul prezzo della farina e del gasolio per fare cassa. Nel vuoto creato dalla guerra infatti, nelle fila dell'esercito libero si sono infiltrate vere e proprie bande di ladri. Che pur essendo una sparuta minoranza hanno fatto molto parlare di sé per le rapine, i sequestri di persona e i veri e propri saccheggi che hanno messo a segno ad Aleppo e provincia. Sia per arricchirsi personalmente sia per avere contante con cui acquistare nuove armi per guadagnare peso politico sul fronte.

Tuttavia, nonostante il potere e il consenso che si è guadagnato il Nusra ad Aleppo in pochi mesi, il generale Khalil è sicuro che la Siria prenderà un'altra strada. E non soltanto perché i radicali del Nusra sono una sparuta minoranza dell'esercito libero. “La società siriana è plurale. Siamo fatti per il 40% da minoranze. Non possiamo fare uno stato islamico. Dove mettiamo i cristiani, gli sciiti, gli alawiti, gli ismaeliti, gli armeni? L'unica soluzione è uno stato democratico. Sarà il voto a decidere. Ma la Siria deve continuare a essere un esempio di convivenza tra religioni per il mondo intero. È la nostra storia. È la nostra civiltà. E ne siamo fieri”.

A sostegno di quello che dice il generale Khalil, ci sono le piazze vuote del Nusra. Da mesi ad Aleppo, ogni settimana, organizzano manifestazioni all'uscita della preghiera del venerdì dalle moschee. Di bandiere siriane praticamente non se ne vedono. Sventolano soltanto bandiere nere. Sopra c'è scritto “La Ilaha Illa Allah wa Mohammad Rasul Allah”. È la professione di fede. “Non c'è altro dio all'infuori di dio e Mohammad è il suo profeta”. Gli slogan vanno da “Dio protegga Jabhat al Nusra” a “Il popolo vuole un califfato islamico”. La marcia procede a rilento. Sul furgoncino in testa al corteo, un gruppo di bimbi e bimbe si alternano al microfono per cantare gli slogan, sotto lo sguardo affettuoso di un giovane barbuto in divisa militare. Li seguono un centinaio di manifestanti. Possono sembrare tanti in una strada a trecento metri dal fronte e sotto la costante minaccia di un improvviso bombardamento. Ma a ben guardare sono tutti bambini e adolescenti. Non c'è un adulto, non ci sono donne. Sembrano più i curiosi del venerdì mattina che un vero corteo. Oltretutto a un certo punto il furgoncino si pianta e quelli a bordo rischiano tutti di cadere all'indietro. È finita la benzina. L'autista scende. Si continua a spinta per un po', poi la manifestazione finisce.

Visto da Aleppo il destino del Nusra assomiglia al furgoncino del corteo. Finita la guerra rimarrà senza benzina. O sarà riassorbita dalla corrente islamica moderata, molto più forte e popolare. Se non ci fossero le armi di mezzo sarei pronto a scommetterci. Ma è difficile se non impossibile fare previsioni quando gli equilibri non li decide il consenso popolare ma la guerra.

(2/4 continua)

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