19 September 2011

Metal detector

I detenuti dell'area viola al Cie di Torino durante una preghiera notturna

É arrivato anche il metal detector al centro di identificazione e espulsione (Cie) di Torino. Servirà a ispezionare i pacchi alimentari e i vestiti che amici e familiari portano quasi quotidianamente ai reclusi. La decisione è stata presa dopo la riuscita evasione di sabato 10 settembre. Pare infatti che alla base del piano di fuga escogitato dai reclusi dell'area viola ci fossero delle lime di ferro, che secondo la polizia sarebbero entrate di nascosto proprio con dei pacchi di generi alimentari. Sarebbe stato con quelle lime che i reclusi dell'area viola sono riusciti a segare addirittura 13 sbarre di ferro, una alla volta, per un mese intero di lavoro, senza che nessuno dei militari di guardia se ne accorgesse. Ma in effetti i reclusi avevano studiato il piano nei minimi dettagli.

Per essere meno visibili, avevano scelto di lavorare sul lato della gabbia più lontano sia dagli sguardi degli altri detenuti e che da quelli dei militari di guardia. Ovvero il lato di gabbia che dà sull'area gialla, che è ancora vuota dai tempi dell'incendio che l'ha resa inagibile lo scorso febbraio. Il resto l'ha fatto la complicità di tutti i reclusi nell'area, che per un mese hanno mantenuto il massimo riserbo sul piano senza che nessuno finisse per cantarla agli agenti di polizia e agli operatori della Croce rossa, come di solito accade in questi casi. E invece no. Per tutto il mese di Ramadan, ovvero per tutto agosto, si sono sforzati di recitare il ruolo della sezione modello. Niente proteste né lamentele, cinque preghiere al giorno tutti insieme nel piazzale e continue partitelle di calcio, mentre due vedette facevano il palo per avvisare chi tagliava i ferri quando arrivava la pattuglia dei militari.

L'ora x è scattata alle quattro del mattino del 10 settembre. Hanno tirato via il blocco di gabbia che avevano segato e uno dopo l'altro si sono infilati nel buco e via a gambe levate verso il cancello della vecchia uscita su corso Brunelleschi subito inseguiti da militari e carabinieri di guardia. Alla fine sono riusciti a scavalcare e scappare in 12, tra marocchini e tunisini. Un altro gruppo invece è stato fermato mentre ancora si stava arrampicando sul cancello. Il giorno stesso è arrivato sul posto un saldatore a sistemare la gabbia. Dopodiché hanno riportato tutti in sezione ed è iniziata una perquisizione in tutto il centro, alla ricerca dei ferri del lavoro. Le famose lime insomma, due delle quali pare siano state effettivamente ritrovate all'isolamento. Chissà se ce ne sono ancora. Ad ogni modo non c'è bisogno per forza di segare le sbarre per scappare.

Il giorno dopo la grande fuga ad esempio ci hanno provato altri due reclusi. Due della sezione blu. Durante la distribuzione della colazione, hanno approfittato di un momento di distrazione delle guardie per accostare la porta della gabbia ma senza far scattare la serratura. E al momento opportuno hanno riaperto e si sono messi a correre verso il piazzale centrale da dove si sono lanciati sulla seconda recinzione che bisogna scavalcare per  arrivare al muro di cinta su corso Brunelleschi. Ma li hanno presi prima e li hanno fatti scendere. Per poi menarli sul posto e portarli direttamente in carcere. Arresto in flagranza di reato con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Processati per direttissima, si sono presi uno un mese e l'altro otto. Ma sono stati subito scarcerati, con la condizionale, e riportati al Cie per essere espulsi nei prossimi 18 mesi.