Rogo e rivolta al Vulpitta. Il centro di identificazione e espulsione di Trapani è stato messo a fuoco da un gruppo di detenuti la sera di mercoledì scorso, 4 maggio. La notizia è confermata dalle agenzie stampa. Secondo i ragazzi di Trapani circa 40 detenuti avrebbero appiccato il fuoco bruciando i loro materassi nel corridoio esterno, il ballatoio ingabbiato che si vede anche nella foto, su cui si affacciano le celle, al terzo piano della vecchia casa di riposo, in pieno centro a Trapani. L'incendio si sarebbe propagato velocemente annerendo addirittura le grate di ferro esterne. Testimoni riferiscono che sono state transennate tutte le strade intorno al Cie mentre i vigili del fuoco intervenivano. Fortunatamente non risultano ustionati né feriti. Ci sarebbero invece diversi contusi, perché alcuni agenti di polizia avrebbero usato la forza per sedare gli animi. Si parla di ragazzi contusi in maniera più grave, che avrebbero chiesto il ricovero al pronto soccorso e che sarebbero stati invece soltanto medicati in infermeria. Al momento non risultano arresti. Appena saremo in grado, vi daremo ulteriori dettagli. Ricordiamo che non è il primo rogo al Vulpitta. E ricordiamo che per un incendio qui nel 1999 ci furono sei morti tra i detenuti. E furono le prime vittime della legge Turco Napolitano.
Era la notte tra il 28 e il 29 dicembre 1999. E dalle finestre del centro di identificazione e espulsione Serraino Vulpitta, a Trapani, iniziò a uscire fumo. Nel centro erano detenute un centinaio di persone, ma la capienza era soltanto di poco più di 50 posti. Poche ore prima, l'ennesimo tentativo di fuga da parte di un gruppo di immigrati era stato bloccato dalle forze dell'ordine, che avevano poi rinchiuso oltre una decina di persone in una cella. Fu uno di loro ad appiccare il fuoco ai materassi. L'aria si fece irrespirabile, sbattevano sulla porta. Ma da fuori nessuno gli aprì. La porta era chiusa con una spranga di ferro e lucchetti. Prima dell'arrivo dei pompieri, tre ragazzi tunisini morirono carbonizzati. Altri tre morirono invece poco dopo in ospedale, a Palermo, dove erano stati ricoverati con gravi ustioni. Nel gennaio del 2000, sul caso venne presentato un esposto alla magistratura. L'allora prefetto di Trapani, Leonardo Cerenzìa, fu accusato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo. Ma fu poi assolto con formula piena il 15 aprile del 2004, una sentenza confermata dalla Corte d'Appello di Palermo. Il centro non era a norma, non c'erano scale antincendio né estintori. Ma nessuno fu mai ritenuto responsabile della tragedia.
Nel corso degli anni, il Vulpitta è stato chiuso e riaperto più volte, per lavori di ristrutturazione. Sono state costruite le scale antincendio e montati in ogni camera rilevatori di fumo e sensori termici. E il numero di posti disponibili è stato ridotto a 57, quando nei primi anni la media era di 100-150 detenuti. E tuttavia nel corso degli anni, sebbene meno frequentemente, si sono seguiti episodi di ribellioni, atti di autolesionismo e tentativi di fuga. L'ultimo rogo, senza vittime, si era verificato nel febbraio 2007. Da allora il Vulpitta funziona a metà regime. L'ente gestore, dal 2000, è sempre la cooperativa Insieme.
Tra un paio di generazioni, quando sui libri di storia si studierà l'epoca dell'Europa razzista, i nomi dei sei ragazzi morti al Vulpitta nel 1999 saranno ricordati come le prime vittime dei centri di identificazione e espulsione. Jamel Brahami Ben Taahr, Rabah Arfaoui Ben Hedi, Nasreddin Arfaoui Ben Hedi, Lotfi Ben Mohamed Salah, Ramzi Ben Salem Mouldi, Nasim El Herzally Ben Moustafa. Non avevano commesso nessun reato penale, salvo essere nati sulla riva sbagliata di questo Mediterraneo
Leggi lo speciale sul Cie di Trapani
Era la notte tra il 28 e il 29 dicembre 1999. E dalle finestre del centro di identificazione e espulsione Serraino Vulpitta, a Trapani, iniziò a uscire fumo. Nel centro erano detenute un centinaio di persone, ma la capienza era soltanto di poco più di 50 posti. Poche ore prima, l'ennesimo tentativo di fuga da parte di un gruppo di immigrati era stato bloccato dalle forze dell'ordine, che avevano poi rinchiuso oltre una decina di persone in una cella. Fu uno di loro ad appiccare il fuoco ai materassi. L'aria si fece irrespirabile, sbattevano sulla porta. Ma da fuori nessuno gli aprì. La porta era chiusa con una spranga di ferro e lucchetti. Prima dell'arrivo dei pompieri, tre ragazzi tunisini morirono carbonizzati. Altri tre morirono invece poco dopo in ospedale, a Palermo, dove erano stati ricoverati con gravi ustioni. Nel gennaio del 2000, sul caso venne presentato un esposto alla magistratura. L'allora prefetto di Trapani, Leonardo Cerenzìa, fu accusato di omissione di atti d’ufficio, incendio colposo e concorso in omicidio colposo plurimo. Ma fu poi assolto con formula piena il 15 aprile del 2004, una sentenza confermata dalla Corte d'Appello di Palermo. Il centro non era a norma, non c'erano scale antincendio né estintori. Ma nessuno fu mai ritenuto responsabile della tragedia.
Nel corso degli anni, il Vulpitta è stato chiuso e riaperto più volte, per lavori di ristrutturazione. Sono state costruite le scale antincendio e montati in ogni camera rilevatori di fumo e sensori termici. E il numero di posti disponibili è stato ridotto a 57, quando nei primi anni la media era di 100-150 detenuti. E tuttavia nel corso degli anni, sebbene meno frequentemente, si sono seguiti episodi di ribellioni, atti di autolesionismo e tentativi di fuga. L'ultimo rogo, senza vittime, si era verificato nel febbraio 2007. Da allora il Vulpitta funziona a metà regime. L'ente gestore, dal 2000, è sempre la cooperativa Insieme.
Tra un paio di generazioni, quando sui libri di storia si studierà l'epoca dell'Europa razzista, i nomi dei sei ragazzi morti al Vulpitta nel 1999 saranno ricordati come le prime vittime dei centri di identificazione e espulsione. Jamel Brahami Ben Taahr, Rabah Arfaoui Ben Hedi, Nasreddin Arfaoui Ben Hedi, Lotfi Ben Mohamed Salah, Ramzi Ben Salem Mouldi, Nasim El Herzally Ben Moustafa. Non avevano commesso nessun reato penale, salvo essere nati sulla riva sbagliata di questo Mediterraneo
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