18 May 2009

Libia: 5.171 richieste d’asilo presentate all’Acnur di Tripoli

ROMA, 18 maggio 2009 - La Libia ha firmato la Convenzione dell’Unione Africana del 1969 sui rifugiati, ma non ha mai sottoscritto la Convenzione dell’Onu sui rifugiati, del 1951. Pertanto, vista la mancanza di un sistema d’asilo, il riconoscimento dei rifugiati politici è affidato all’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) presente a Tripoli. Un ufficio che conta su uno staff di 27 persone (25 libici e due internazionali) e che nel 2008 ha potuto beneficiare di un budget di 1.593.478 dollari americani. Ma cosa fa di concreto l’Acnur in Libia? Il numero dei rifugiati riconosciuti dall’Acnur a Tripoli è di 6.688. In maggior parte sono palestinesi (2.861) e iracheni (2.205), seguiti a lunga distanza da somali (563), sudanesi (358) ed eritrei (329). Eppure sono transitati dalla Libia gli oltre 6.000 eritrei sbarcati dal 2005 a oggi in Sicilia per chiedere asilo politico. Perché non si sono presentati all’Acnur a Tripoli? Traumatizzati dalle violenze subite nei campi di detenzione libici, in particolare al sud, gli eritrei vogliono soltanto fuggire da quel paese: “Una volta in Libia non puoi tornare indietro – dice Yacob, un rifugiato in Italia – Restare a Tripoli è un inferno, la via del ritorno passa da Kufrah e dal deserto. Se proprio devi morire, meglio continuare il viaggio”. E una guardia armata di mitra all'ingresso dell'Acnur (vedi foto) non è il segnale più incoraggiante...

Eppure qualcosa sta cambiando. Lo dicono i dati sulle richieste d’asilo più recenti, ancora in attesa di giudizio. In totale sono 5.171, i dati sono dell’Acnur. Al primo posto c’è il Sudan (1.777 richieste), seguito da Iraq (1.132), Eritrea (617), Chad (595), Etiopia (218) e Somalia (191). Il dato in aumento degli eritrei si spiega con l’attività svolta dall’Acnur nel 2008 nel campo di Misratah, dove sono detenuti da tre anni circa 600 eritrei. Da un paio d’anni infatti, le autorità libiche autorizzano l’Acnur a visitare alcuni campi di detenzione. Grazie soprattutto all’intermediazione di ong locali quali International Organization of Peace, Care and Relief (IOPCR), Al-Wafaa Charity Association, World Islamic Call Society (WICS), Watasemo Association e la Ghaddafi International Foundation for Charity and Associations (GIFCA). Grazie alla collaborazione con le ong l’Ancur ha potuto inoltre sostenere a Tripoli corsi di formazione professionale, assistenza sanitaria, ed esenzione dalle tasse universitarie per i rifugiati.

Tuttavia i problemi permangono. Le forze dell’ordine non riconoscono la validità dei documenti rilasciati ai rifugiati dall’Acnur. Così durante le retate anche i rifugiati vengono arrestati e finiscono in carcere, come abbiamo personalmente verificato a Sebha. Difficilmente l’Acnur riesce a farli rilasciare. Inoltre l’Acnur non ha nessun accesso al più famigerato dei campi di detenzione, quello che si trova a Kufrah, al confine con il Sudan, dove eritrei e somali raccontano di subire violenze e abusi, per poi essere rivenduti dalla polizia agli stessi autisti che li hanno portati clandestinamente in Libia.


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