21 October 2011

Nahdha chiama Italia

Una ragazza tra il pubblico a un dibattito del Nahda

In arabo vuol dire rinascita. Nahda. Si chiama così il partito dato per favorito in tutti i sondaggi per le elezioni tunisine. Si tratta del partito islamico moderato, attivo già dagli anni Ottanta, e dichiarato illegale nei primi anni di presidenza del deposto dittatore Ben Ali. Oggi vanta sostenitori non soltanto nei ceti popolari, come sarebbe facile pensare, bensì in tutte le classi sociali tunisine. Lo abbiamo visto in questi giorni a Hay Tahrir, assistendo a uno dei tanti e affollatissimi dibattiti pubblici organizzati in questi giorni in tutto il paese dal partito di Rachid Ghannouchi. I mezzo alle centinaia di ascoltatori c'erano studentesse universitarie, operaie in pensione, sindacaliste, farmacisti, avvocati, e intere famiglie. E il discorso dei candidati era tutt'altro che reazionario. Liberazione della Palestina occupata e femminismo in salsa islamica.

La candidata Rafiqa Qabtani ha parlato dello sfruttamento delle donne in Tunisia, sul posto di lavoro e in casa. E ha detto che è giunto il tempo per le donne tunisine di riprendersi i propri diritti. E di farlo con le proprie forze. Perché nel 2011 non è possibile che un uomo parli in nome di una donna. Motivo per cui anche il Nahda ha rispettato la regola delle quote rosa imposta da una avanzatissima legge elettorale, che prevede l'obbligo di candidare il 50% di donne nelle liste dei partiti. Siad Abderrahim è una di loro. Lavora come farmacista ed è diventata famosa perché è l'unica candidata del Nahda che non porta il velo. Il che, per ora, non sembra indispettire nessuno nel partito.

Sarà che tutti i vertici del Nahda, e buona parte dei suoi funzionari, sono ex prigionieri politici. E hanno pagato sulla propria pelle il prezzo della repressione della libertà di pensiero. Il segretario generale del partito, Hamadi Jebali, ha scontato 16 anni di carcere duro, di cui dieci in isolamento. Il capolista di Tunisi 2, Ziad Dulatli, viene da 15 anni di galera. Così come l'addetto stampa del partito, Kamel Harbaoui, arrestato dal 94 al 97 e tornato dall'esilio negli Stati Uniti soltanto dopo la fine della dittatura, nel gennaio scorso.

La sua è una storia comune. Sono migliaia gli attivisti rientrati dopo la fuga di Ben Ali. Non solo del Nahda. Ma di certo, il partito di Ghannouchi è quello che ha pagato di più la repressione. Si stima che dalla salita al potere di Ben Ali nel 1987, siano stati almeno trentamila i suoi militanti arrestati e torturati nelle segrete del regime. Oggi sono loro il cuore dell'organizzazione del partito. Gente preparata, devota al lavoro e molto pragmatica. Al punto da aver nominato un cattolico italiano come consigliere politico.

Si chiama Giacomo Fiaschi, ha 61 anni e si presenta come un giornalista free lance appassionato di pesca alla mosca e di fotografia. Ma dietro alla finta modestia e all'ironia tipiche della sua Prato, si cela un uomo tanto coltivato nei suoi studi di teologia e filosofia, quanto abile a tessere rapporti con la famiglia Craxi, con il Vaticano e con vari esponenti dei principali partiti italiani. Sarebbero stati proprio i Craxi a introdurlo al Nahda. La sua prima missione è stato portare il segretario del Nahda, Hamadi Jebali, al meeting di Comunione e liberazione, il movimento cattolico italiano noto per il suo potere di lobby grazie alla presenza di molti dei suoi aderenti nelle più alte cariche della politica e dell'economia italiana.

In quell'occasione Jebali ha incontrato i vertici della politica italiana, presentandosi come esponente del partito che governerà con tutta probabilità il paese. Fiaschi dice di essere tornato da Rimini con la conferma di aver visto in Jebali un abile e pragmatico politico oltre che un fine intellettuale, appassionato di filosofia. Alle indubbie capacità strategiche dei suoi dirigenti, va poi aggiunta l'ingente quantità di denaro a disposizione del Nahda, che oltre alla sede su tre piani a Montplaisir, dispone di sedi in ogni quartiere di Tunisi e in tutto il paese. In amministrazione ci hanno detto che è tutto frutto di trent'anni di donazioni degli aderenti al movimento. Anche se i maligni sospettano finanziamenti dall'estero e parlano di compravendita dei voti nei quartieri popolari, pur senza uno straccio di prove.

(3/4, continua domani)