03 August 2011

Ponte Galeria: il lavoro rende liberi


Dopo la rivolta, le espulsioni. La macchina dei rimpatri forzati del centro di identificazione e espulsione (Cie) di Roma, a Ponte Galeria, ha ripreso a funzionare a pieno ritmo, dopo i disordini che hanno messo a ferro e fuoco il Cie la notte tra venerdì e sabato scorso. I primi a farne le spese sono stati 17 egiziani. Sabato mattina erano stati trasferiti in isolamento in una sezione dell'area femminile. E domenica pomeriggio sono stati caricati sull'aereo per Il Cairo. La loro assenza si farà sentire. Mancheranno ai loro familiari (hanno tutti qualche cugino a Roma e uno di loro aspetta un figlio dalla compagna rumena con cui conviveva). E mancheranno ai loro datori di lavoro. Sì perché a parte un ragazzo di Mansura, sbarcato a Lampedusa un mese fa dalla Libia, tutti gli altri lavoravano come facchini al CAR, il centro agroalimentare di Roma. Si tratta del principale punto di vendita all'ingrosso di frutta e verdura di tutta la capitale, 45.000 metri quadrati di esposizione alle porte della città, a Guidonia Montecelio, dove lavorano migliaia di persone, compresi centinaia di facchini tenuti in nero dai loro datori di lavoro. Esattamente come i 16 egiziani che l'Italia ha appena espulso. Ragazzi che da quando erano sbarcati in Sicilia, quattro, cinque anni fa, si erano messi a lavorare sodo, appoggiandosi dai cugini a Roma. Carico e scarico, turni di notte, straordinari. Mai un precedente penale, gente tutta casa e lavoro. Fino al giorno della retata della polizia ai mercati generali.

Era il 27 luglio scorso. La Questura di Roma li chiama "controlli mirati al contrasto della manodopera irregolare e dell'immigrazione clandestina". E il principale quotidiano italiano (Il Corriere della Sera) si limita a copiare e incollare le veline della Polizia di Stato, riportando frasi del tipo: "Le persone denunciate si recavano al centro agroalimentare alla ricerca di lavori precari, con mansioni di carico/scarico e trasporto delle merci". Come se fosse un reato. Nessuno però ci racconta mai che fine fanno quei lavoratori.

Il servizio sulle retate ai mercati generali di Roma su Corriere.it

Nel 2011 i controlli si sono intensificati. Centinaia di facchini sono finiti in questura. Mustafa è uno di loro. Trentenne, anche lui egiziano, anche lui originario di Gharbiyya, sul delta del Nilo, come gli altri 16 espulsi domenica. Mustafa ai mercati generali lavorava allo stand della Fruttital, che è un'azienda leader in Italia nell'importazione di frutta esotica dal sud America. Contratto regolare, busta paga. Tutto in regola. Ma solo apparentemente. Sì perché quando alla questura di Roma hanno incrociato i dati della sua richiesta di permesso di soggiorno con lo storico delle sue impronte digitali, sono risaliti allo sbarco del 2004 in Sicilia, e al primo foglio di via del 2006. E gli hanno ritirato il permesso di soggiorno. Il resto è accaduto lo scorso 8 giugno.

Erano le nove di mattina. Mustafa aveva appena smontato dal turno di notte e stava rientrando a casa. La casa nuova, a Guidonia Montecelio, dove si era trasferito otto giorni prima, in affitto. La polizia era lì fuori, lui ha mostrato il passaporto egiziano. Sopra c'era ancora il visto Schengen stampato. Sì perché è vero che Mustafa è sbarcato nel 2004 in Sicilia. Ma poi dopo quattro anni di lavoro ha trovato una persona disposta a fargli un contratto e nel 2008 è tornato in Egitto in aereo, si è presentato all'ambasciata italiana con tutte le carte e ha ottenuto un visto per rientrare regolarmente con il decreto flussi. Che poi è il percorso della maggior parte di chi oggi ha i documenti a posto. Arrivi senza documenti, lavori in nero, torni nel tuo paese e rientri con il visto sul passaporto e il contratto.

L'avventura in Italia di Mustafa ormai è al capolinea. L'ambasciata egiziana è la più efficiente in assoluto nell'identificazione dei suoi cittadini per i rimpatri. E salvo imprevisti, non c'è dubbio che Mustafa sarà costretto a tornare a Gharbiyya. Lui però continua a sperare nel contrario. E ha chiesto al fratello, che vive a Roma con altri sei cugini, di pagargli la mensilità di luglio dell'affitto della casa a Guidonia. Dentro ci sono tutte le sue cose, e non vorrebbe ricevere uno sfratto per morosità.

Anche perché al Cie, con la nuova legge, potrebbe passarci fino a 18 mesi. Lui che non è mai stato in carcere, e che l'unico precedente che ha è per guida senza patente. Sono passati soltanto due mesi e mezzo dal suo ingresso, ma già non ce la fa più. Dal primo giorno di reclusione, si ostina a non prendere psicofarmaci, come invece fanno quasi tutti a Ponte Galeria. Non vuole rovinarsi il cervello come dice, ma così è più difficile. Soprattutto adesso che è iniziato il ramadan. Il mese sacro che ogni buon musulmano aspetta durante tutto l'anno. I dolci, i regali, le feste, il tempo assieme alla famiglia. Nel 2011 non ci sarà niente di questo. Il ramadan lo passerà dietro il ferro, a mangiare pasta scotta nei piatti usa e getta della mensa. In Egitto gli avevano insegnato che il lavoro rende liberi, ma in Italia ha appena scoperto il contrario.