24 May 2011

Lampedusa: 200 tunisini iniziano sciopero della fame

Sciopero della fame a Lampedusa. A protestare sono i duecento tunisini, reclusi da ormai dieci giorni - e in alcuni casi anche da più di due settimane - dentro il centro di prima accoglienza. Lo sciopero è iniziato questa mattina, quando i reclusi tunisini al completo hanno rifiutato il pranzo, dichiarandosi pronti a proseguire ad oltranza la protesta con un unico obiettivo: la libertà. L'hanno scritto anche su un lenzuolo, come striscione: “Vogliamo la libertà”. È esposto nel cortile del centro di accoglienza, dove hanno portato in mezzo al piazzale materassi e coperte, pronti a passare fuori la notte per protesta. Chiedono di essere trasferiti in altre strutture e da lì di ottenere la libertà. Tra i reclusi, alcuni hanno chiesto l'asilo politico, altri sono sposati con cittadine europee, come il caso di un recluso sposato con una francese, e di un secondo recluso sposato con una olandese, da cui ha avuto anche un bambino. Per tutti però il rischio è lo stesso: il rimpatrio.


Contro il trattenimento arbitrario dei tunisini a Lampedusa, si è espresso anche il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, ricordando che non è possibile – in base all'ordinamento italiano – privare una persona della sua libertà personale senza una convalida del giudice. “I provvedimenti di trattenimento e di accompagnamento alla frontiera dello straniero – ha scritto Vassallo Paleologo - devono essere inoltre comunicati al Giudice di Pace entro 48 ore dalla sua adozione, e devono essere convalidati dal Giudice entro le successive 48 ore (artt. 13, co. 5 bis e 14, co. 4, D.Lgs. 286/98). Proprio con riferimento ai provvedimenti di trattenimento presso il centro di permanenza temporanea e di accompagnamento alla frontiera, la Corte Costituzionale ha più volte chiarito (si vedano in particolare le sentenze 105/01 e 222/04) trattarsi di provvedimenti limitativi della libertà personale, che come tali devono essere assistiti dalle garanzie di cui all'art. 13 della Costituzione, e dunque devono essere sottoposti nei tempi indicati da tale norma al vaglio giurisdizionale, alla presenza dello straniero e con le garanzie della difesa”.

Di tutto questo a Lampedusa non si è mai visto traccia. Duecento tunisini privati della propria libertà personale, in un centro che giuridicamente è adibito all'accoglienza e non alla detenzione, e tutto senza nessuna convalida del giudice e senza la possibilità di nominare un avvocato, neanche d'ufficio. Quasi a dire che proprio a partire da Lampedusa si capisce sempre meglio quanto sia labile il confine tra stato di diritto e stato di polizia.