12 April 2011

Lampedusa: verso lo stato di polizia?

C'era una volta il diritto. Poi diventò un bastone fra le ruote e si decise di farne a meno per fare prima. Ecco che cosa insegnano le pratiche lungo le frontiere europee e italiane in particolare. I respingimenti in Libia prima e le espulsioni di massa in Tunisia adesso. Eppure per capire cosa sta davvero succedendo sull'isola basterebbe porsi alcuni domande semplici semplici. Per esempio: su quali basi giuridiche i tunisini a Lampedusa sono privati della libertà? Su quali basi giuridiche non hanno accesso a un avvocato sull'isola? Su quali basi giuridiche sono rimpatriati collettivamente? Su quali basi giuridiche chi è arrivato prima del 5 aprile avrà un permesso umanitario, e chi è arrivato dal giorno dopo non lo avrà? Esistono leggi a scadenza? Parliamo di diritti o di marmellata? Chiederselo ci aiuta a vedere meglio le cose. Ci aiuta a ricordare che c'è una legge sull'immigrazione, ovvero uno stato di diritto, per quanto quella legge possa non piacerci, e poi ci sono delle pratiche in deroga a quella legge, e quindi a quello stato di diritto. Come dire che per l'ennesima volta, a Lampedusa si sperimenta lo stato di polizia. Un centro d'accoglienza diventa un centro d'espulsione come se niente fosse. Centinaia di cittadini vengono privati della libertà senza la convalida di un giudice e senza la possibilità di nominare un avvocato e presentare un ricorso. E infine decine di loro vengono rimpatriati in modo collettivo come proibito dalle direttive europee. Chiariamoci: loro in caso di rimpatrio non rischiano niente, se non di aver buttato via un sacco di soldi nella traversata. La Tunisia di oggi non è più la Tunisia di Ben Ali. A rischiare siamo noi cittadini di un paese che ormai agisce in deroga alle sue stesse leggi mentre nessuno si rende conto di come avanzino le pratiche di stato di polizia e di come facciano cultura.

Ad accompagnarci in questo ragionamento giuridico è il professor Fulvio Paleologo, giurista dell'università di Palermo, che analizza la situazione sull'isola alla luce delle rivolte di ieri dei tunisini a Lampedusa. Appena saputo dell'avvenuto rimpatrio di 30 di loro infatti, nel centro è scoppiata la rivolta ed è stato appiccato il fuoco in uno dei padiglioni mentre un gruppo si è dato alla fuga sull'isola, per poi essere rintracciato più tardi. L'effetto della protesta è stata la decisione di Maroni per lo svuotamento dell'isola. Oggi dovrebbe partire la nave Excelsior con 750 tunisini a bordo che saranno smistati nei centri di identificazione e espulsione di mezza Italia, dove c'è da immaginarsi che la protesta esploderà di nuovo. Sull'isola resteranno i 400 africani arrivati da Tripoli nei giorni scorsi e in attesa di essere smistati nei centri di accoglienza in Italia, e un gruppo di 250 tunisini per i quali invece è previsto il rimpatrio in aereo al ritmo di due gruppi da 30 al giorno. Di seguito l'articolo di Paleologo.

Verso lo stato di polizia? Dopo i rimpatri truffa, Lampedusa brucia
di Fulvio Vassallo Paleologo, università di Palermo

I migranti rinchiusi nel centro di identificazione ed espulsione di Contrada Imbriacola a Lampedusa,e poi rimpatriati in Tunisia, a partire dal 6 aprile 2011, per quanto risulta da numerose testimonianze e notizie di stampa, non hanno mai potuto comunicare con un avvocato o con un giudice, né tantomeno con un membro della commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, né hanno ricevuto alcun tipo di comunicazione scritta sui motivi del loro trattenimento né sulla durata dello stesso o sulle possibilità di difesa o di esercizio dei propri diritti.

Nel caso dei migranti già rimpatriati in Tunisia, come nel caso di quelli ancora trattenuti nel centro di detenzione amministrativa di Contrada Imbriacola, è ampiamente decorso il termine di ventiquattrore del fermo per identificazione di cui all’art. 11 DL 59/78 convertito in legge n. 191/78, in quanto gli stessi migranti si sono trovati privati per giorni della libertà personale senza peraltro che di ciò sia stato dato avviso ai medesimi trattenuti o ai loro avvocati né all'autorità giudiziaria.

Gli artt. 10, 13 e 14 del D.Lgs. 286/98 prevedono che il cittadino straniero possa essere privato della libertà personale con provvedimento amministrativo, unicamente nei casi in cui venga nei suoi confronti adottato un provvedimento di respingimento alla frontiera, definito come respingimento differito del Questore (art. 10, comma 2), ovvero un provvedimento di espulsione (art. 13), ovvero un provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e assistenza (art. 14). Tale ultimo provvedimento è adottato unicamente ai fini dell'esecuzione del provvedimento di allontanamento dal territorio italiano. Tali provvedimenti, inoltre, hanno natura di provvedimenti recettivi; essi acquistano dunque efficacia solo dal momento della loro notifica al destinatario e non possono trovare esecuzione prima di tale notifica.

I provvedimenti di trattenimento e di accompagnamento alla frontiera dello straniero devono essere inoltre comunicati al Giudice di Pace entro 48 ore dalla sua adozione, e devono essere convalidati dal Giudice entro le successive 48 ore (artt. 13, co. 5 bis e 14, co. 4, D.Lgs. 286/98). Proprio con riferimento ai provvedimenti di trattenimento presso il centro di permanenza temporanea e di accompagnamento alla frontiera, la Corte Costituzionale ha più volte chiarito (si vedano in particolare le sentenze 105/01 e 222/04) trattarsi di provvedimenti limitativi della libertà personale, che come tali devono essere assistiti dalle garanzie di cui all'art. 13 della Costituzione, e dunque devono essere sottoposti nei tempi indicati da tale norma al vaglio giurisdizionale, alla presenza dello straniero e con le garanzie della difesa.

L'art. 21, co. 4, del Regolamento di attuazione del D.Lgs. 286/98 (D.P.R. 394/99, come modificato dal D.P.R. 334/04), prevede che "il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell'art. 14, comma 1, del test unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario"; l'art. 23, co. 1, del medesimo regolamento aggiunge che "le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all'articolo 22" - ossia ai CIE - " per il tempo strettamente necessario all'avvio della stesso ai predetti centro o all'adozione dei provvedimenti occorrenti per l'erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato".

Tali disposizioni di fonte regolamentare, dunque, in ossequio alla legge - né potrebbe essere altrimenti, stante la riserva assoluta prevista dall'art. 13 della Costituzione - prevedono che la privazione della libertà personale dello straniero nei procedimenti amministrativi relativi al suo allontanamento può avvenire unicamente presso i CIE, mentre al di fuori di tali centri (e dunque anche nei CPA) possono svolgersi unicamente attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per esigenze igienico sanitarie, ma non può esservi limitazione della libertà personale; in ogni caso ogni eventuale limitazione della libertà personale deve obbedire ai rigidi criteri imposti dall'art. 13 della Costituzione e dalle disposizioni di legge in materia.
Da tempo la giurisprudenza costituzionale ha imposto garanzie precise in materia di respingimento ed espulsioni, garanzie che non sempre sono state rispettate dalle autorità di polizia. Secondo la sentenza 105 del 2001 della Corte Costituzionale “Il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13; e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata. Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”.

Secondo la Corte Costituzionale, “né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Che un tale ordine di idee abbia ispirato la disciplina dell’istituto emerge del resto dallo stesso articolo 14 censurato, là dove, con evidente riecheggiamento della disciplina dell’articolo 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta, si prevede che il provvedimento di trattenimento dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto”.

Le autorità di polizia non possono raccontare ancora una volta la solita storiella che il trattenimento amministrativo che si realizza nell'isola di Lampedusa sarebbe solo ai fini di “prima accoglienza e soccorso”, casi nei quali si possono derogare i termini di comunicazione all'autorità giudiziaria e nei quali il trattenimento può avvenire anche al di fuori dei CIE, ma in strutture provvisorie. Come avviene da anni a Porto Empedocle e a Pozzallo, in base a quanto previsto dall'rt. 23 del Regolamento di attuazione n. 394 del 1999. Come è confermato dai rimpatri effettuati nei giorni scorsi direttamente in Tunisia, dal 6 aprile scorso, il trattenimento amministrativo dei migranti rinchiusi nel Centro di Contrada Imbriacola, al di là della sua incerta qualificazione giuridica, centro di prima accoglienza e soccorso oppure CIE è sicuramente finalizzato all'esecuzione di misure di rimpatrio forzato, peraltro in contrasto con la Direttiva Europea n. 2008/115/CE che il nostro paese non ha neppure applicato nei termini previsti ( il 24 dicembre 2010).

La legge prevede inoltre due ipotesi di provvedimenti limitativi della libertà personale adottati dall'autorità di polizia finalizzati all'identificazione del soggetto: l'accompagnamento ed il trattenimento della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, trattenimento che non può superare le dodici ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 349 c.p.p.); l'accompagnamento ed il trattenimento al solo fine dell'identificazione della persona che, richiestone, rifiuti di dichiarare le proprie generalità, ovvero quando ricorrano sufficienti indizi per ritenere la falsità delle sue dichiarazioni sulla propria identità o dei documenti esibiti, trattenimento che non può protrarsi oltre le ventiquattro ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 11 D.L. 59/78, convertito con modificazioni dalla L. 191/78).

La libertà di comunicazione e libero accesso avvocati è tutelato dall’art. 24 Cost., art. 2 Cedu, art. 21 comma 1 Reg. 394/99. I migranti trattenuti illegittimamente a Lampedusa, si trovano da sempre in una condizione di limitazione della libertà personale (essendogli inibita l'uscita dal centro ed essendo a tal fine sottoposti a sorveglianza), senza che nei loro confronti sia stato adottato e notificato alcuno dei provvedimenti limitativi della libertà personale previsti dal D.Lgs. 286/98, e senza che il provvedimento sia stato sottoposto nei tempi di cui all'art. 13 Costituzione al vaglio giurisdizionale; né potrebbero nel caso in esame trovare applicazione le richiamate disposizioni in materia di fermo per identificazione, essendo ampiamente decorsi i termini di trattenimento indicati dalle norme richiamate. Le violazioni delle norme in materia di accompagnamento forzato degli stranieri irregolari verificate in questi giorni a Lampedusa costituiscono una gravissima violazione dello stato di diritto che si basa proprio sul principio dell'”habeas corpus” affermato dall'art. 13 della Costituzione, una norma che vale per tutti, cittadini e stranieri, anche se irregolari, in base al preciso richiamo dell'art.13 della Costituzione.

Occorre quindi che la magistratura competente apra immediatamente una indagine
- per accertare se i cittadini stranieri (ovvero alcuni dei cittadini stranieri) ospitati presso centro di Lampedusa si trovino in una condizione di illecita limitazione della libertà personale;
- accertare se nei loro confronti siano stati adottati e notificati provvedimenti amministrativi -e quali - che giustifichino tale privazione d'urgenza della libertà personale da parte delle autorità di polizia;
- accertare se tale privazione della libertà personale sia stata convalidata dalla competente
autorità giudiziaria nei termini imposti dalla vigente normativa;
- accertare se siano stati accompagnati coattivamente fuori dall’Italia alcuni dei cittadini stranieri trattenuti nel Cpa di Lampedusa ed in base a quale provvedimento, ed eventualmente se il provvedimento di accompagnamento sia stato convalidato dal competente Giudice di Pace;
- accertare se nella fattispecie in esame ricorrano gli estremi del reato di cui all’art. 605 c.p., e/o altre disposizioni sanzionatorie penali legate all'abuso da parte delle autorità amministrative degli strumenti di limitazione della libertà personale..

Dal momento che gli stessi comportamenti sopra denunciati, ove accertati, costituirebbero violazione di importanti direttive comunitarie, come la direttiva sui rimpatri n. 2008/115/CE e gli articoli 5 e 6 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'Uomo, occorre interessare della situazione a Lampedusa la Commissione dell'Unione Europea e la Corte Europea dei diritti dell'Uomo.