02 March 2011

Tunisini in rivolta nei centri di espulsione. Le foto esclusive del cie di Gradisca


Dopo due giorni di rivolte, giovedì e venerdì scorsi, il centro di identificazione e espulsione di Gradisca è letteralmente fuori uso. Resta una sola cella a disposizione per 100 reclusi, e molti sono costretti a mangiare e a dormire per terra e all’addiaccio, ammassati nei corridoi e nei locali della mensa, dove sono tenuti rinchiusi tutti il giorno, e con un unico bagno a disposizione. Oggi in esclusiva siamo in grado di mostrarvi le immagini di questo degrado. Sono fotografie scattate con un telefonino da qualcuno che si trovava nel posto giusto al momento giusto e che ha pensato bene di spedircele. Una prima fuga di notizie che conferma quanto grave sia la situazione. Le rivolte hanno devastato la struttura, ma gli altri centri di espulsione sono pieni e quindi ogni trasferimento è impossibile. La scelta più logica sarebbe di rilasciare i detenuti di Gradisca. E infatti domenica dovevano iniziare le partenze, ma poi deve essere arrivato un contrordine dai vertici perché hanno bloccato tutto all’ultimo minuto e alla fine ne sono usciti solo sei su 13 a cui era stato detto di prepararsi. E che non si respiri una buona aria tra forze di polizia e ministero lo dice il fatto che per il 3 marzo il sindacato Ugl polizia ha indetto un sit in sotto la questura di Gorizia proprio per discutere del cie di Gradisca. Ma in Friuli i problemi al centro espulsioni non sono cosa nuova. Ormai è almeno da un anno e mezzo che le cose vanno molto male. Per chi se l'è perso, riguardatevi il video del pestaggio della polizia contro i detenuti in rivolta. La data è del 21 settembre 2009. Ma ricordare fa bene. Soprattutto quando sono fatti così gravi. anche perché, come purtroppo possiamo immaginare, nessuno ha pagato per quelle violenze. Stavolta però le proteste dei tunisini sono uscite da Gradisca, e ormai le prime avvisaglie di rivolte sono scoppiate in tutta Italia, fino in Sicilia.

A Trapani ad esempio, dove il centro di espulsione sorge al secondo piano di un vecchio ospizio nel cuore della città. È forse una delle strutture più anguste del paese. Una serie di camerate che si affacciano su un ballatoio chiuso da una grata di ferro. E nient’altro. Nemmeno un cortile per l’ora d’aria. Qui la protesta è esplosa lo scorso 23 febbraio, quando i 40 tunisini di Lampedusa hanno iniziato a sfasciare tutto quello che avevano a portata di mano: mobili, suppellettili vari e vetrate delle finestre. Una settimana dopo, i vetri sono ancora rotti e nel centro soffia un vento freddo. Ma almeno non ci sono stati arresti ed è stato concesso ai reclusi di chiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari vista la situazione in Tunisia.

A Modena invece la protesta è stata inscenata domenica scorsa, quando i 42 tunisini trasferiti a Modena da Lampedusa hanno buttato i materassi dalle camerate nel cortile per poi incendiarli al grido di “Libertà!”. Pochi giorni prima, un tunisino del centro espulsioni di Bologna si era cucito le labbra per protesta. Una protesta a cui non sono rimasti indifferenti i movimenti di Bologna, che lunedì primo marzo hanno occupato il centro espulsioni di via Mattei in solidarietà con i detenuti. Sempre domenica scorsa invece, i tunisini hanno appiccato il fuoco anche al cie di Torino, al punto che per spegnere le fiamme sono dovuti intervenire i vigili del fuoco. Mentre in Puglia si contano gli arresti per fuga e resistenza a pubblico ufficiale. A Brindisi si è aperto ieri il processo contro i tre tunisini arrestati per la rivolta con fuga di venerdì scorso. E un processo simile inizierà presto anche a Bari, dove giovedì scorso c'è stato un tentativo di fuga finito con uno scontro tra la polizia e due dei trattenuti, entrambi finiti in manette.

L’ultima volta che i reclusi nei centri di espulsione si erano mobilitati in blocco in tutta Italia era stata nell’agosto del 2009, all’indomani dell’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, che aveva prolungato il tetto massimo della detenzione nei centri da due a sei mesi. Stavolta però alla base delle rivolte ci sono le rivendicazione dei tunisini sbarcati nelle settimane scorse a Lampedusa, che in questo momento rappresentano la comunità più numerosa nei centri di espulsione.

L’inizio delle rivolte, un paio di settimane fa, ha coinciso con la fine dei trasferimenti dall’isola. All’inizio infatti, le autorità italiane trasferivano i tunisini nei centri di espulsione, per un totale di poco più di 300 persone. Poi però, quando i posti nei cie si sono esauriti, hanno portato gli altri 4.000 nei centri di accoglienza per richiedenti asilo. Strutture aperte per definizione, da dove nel giro di pochi giorni in molti se ne sono andati e hanno potuto raggiungere senza problemi la Francia. Questa disparità di trattamento, tra chi viaggia liberamente senza documenti su un treno per Parigi e chi invece si ritrova sei mesi in gabbia senza aver commesso nessun reato, è stata la scintilla che ha acceso il fuoco della rivolta nei Cie.


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