11 March 2011

Diario da Tripoli. Le voci dei somali bloccati in Libia

La paura di uscire di casa, le voci sui linciaggi dei neri scambiati per i mercenari di Gheddafi, l'occupazione dell'ambasciata a Tripoli e gli appelli alla comunità internazionale perché apra un corridoio umanitario per evacuarli. Filo diretto con la comunità somala a Tripoli. Per la prima volta riusciamo ad avere il polso della situazione dei rifugiati somali bloccati nella capitale libica, da tre settimane teatro di scontri tra le truppe di Gheddafi e la piazza dei ribelli. Si tratta di una sorta di diario da Tripoli, scritto da Asha Sabrie, che dal 17 febbraio tiene i contatti con i somali oltremare. Finora l'unica testata che se ne era occupata in Europa era stata l'edizione somala della radio della Bbc, sul cui sito si può scaricare l'audio di una telefonata a Tripoli, ovviamente in lingua somala.

Intanto in queste ore a Tripoli si respira una calma irreale. Come se non fosse accaduto niente. Tra gli eritrei si è sparsa la voce dell'arrivo dei 58 in Italia. Alcuni stanno a aspettare. Altri hanno deciso di rischiare. Pochi giorni fa i primi 17 eritrei sono riusciti a passare la frontiera di Ras Jedyr e sono arrivati in Tunisia. E tra i somali altri si apprestano a fare lo stesso. Restare a Tripoli infatti diventa sempre più pericoloso. Sia per la possibilità di nuovi scontri tra miliziani e ribelli. Sia per il rischio di nuove retate. Due domeniche fa infatti sono stati arrestati almeno duecento eritrei. Quel giorno si era sparsa la voce di una nave militare italiana in arrivo al porto di Tripoli pronta a evacuare tutti gli eritrei. E un migliaio di loro si erano ritrovati nei pressi del porto. Comprese donne e bambini. Quando hanno avuto la certezza che si trattava di una notizia falsa, era già troppo tardi. E quando la polizia ha caricato, in molti non sono riusciti a scappare. Non ci sono dati esatti sul numero dei fermati. Ma si parla di almeno 200 persone, comprese alcune donne, tutti quanti reclusi al centro di detenzione di Twaisha.

DIARIO DA TRIPOLI
di Asha Sabrie 

Prima Settimana della rivolta
A. da Tripoli. Nella casa in cui vive ci sono altri 35 connazionali che sono venuti da altre parti della città. Sono fuggiti dalle loro abitazioni perché non si sentivano sicuri e si sono rifugiati tutti assieme per stare sotto lo stesso tetto. Nella stessa situazioni vivono altri somali, che seguono la stessa modalità raggruppandosi nelle case.
Dicono che sono rinchiusi in casa da domenica, stanno finendo il cibo e hanno paura di uscire. Vogliono evitare contatti con la gente perché temono violenze da parte della popolazione libica.
Riferiscono che la paura è dovuta all'influenza che ha avuto la notizia sulla presenza di mercenari africani in Libia. Questa storia ha scatenato una caccia allo straniero. Non hanno saputo spiegare se queste violenze sono opera delle milizie pro-Gheddafi oppure dei rivoltosi. Ma hanno detto che c'è una paura dei libici dettata dalle notizie che circolano su squadroni della morte composti da africani.
Le immagini trasmesse dalle televisioni satellitari hanno aumentato questa paura, perché citano continuamente l'utilizzo di mercenari africani da parte di Gheddafi.
Secondo loro invece si tratterebbe di soldati libici neri. Perché in Libia c'è una popolazione nera. Dicono di esser diventati il capro espiatorio di questa rivolta.
Additati come mercenari, i rifugiati del Corno d'Africa non hanno nessuna tutela e diritti garantiti. Inoltre, hanno precisato che la posizione dei somali è critica perché non hanno un governo che possa rappresentare la loro disperazione.
Ci hanno riportato l'esempio delle evacuazioni in corso in Libia, dell'impegno che ogni singolo stato fa per i propri concittadini e quanto sia lontana la possibilità di evacuazione per i migranti somali.
Continuavano a ripetere che la loro condizione di rifugiati senza uno stato, li rendeva i soggetti più deboli in queste giornate di violenza.
Non sono stati in grado di fornire cifre sulle vittime, ma hanno sentito di voci su pestaggi e che alcuni giovani somali usciti dalle abitazioni per cercare cibo non vi hanno fatto ritorno, sono scomparsi.
Hanno descritto Tripoli come una città nel caos. Non hanno fornito dettagli su cosa accadeva in città perché il terrore di essere uccisi, in quanto neri, li ha spinti a segregarsi in casa.
Hanno lanciato un appello. Chiedono la mobilitazione degli organismi internazionali e dell'Unione Europea vista la natura apolide che hanno. Chiedevano un corridoio umanitario, ovvero la stessa possibilità che hanno avuto gli altri stranieri evacuati dai propri governi.

Seconda Settimana
Dalle testimonianze raccolte in settimana. Nella città di Tripoli regna una calma irreale. Gli ultimi stranieri sono stati evacuati. Gli abitanti di Tripoli, con case fuori città, hanno abbandonato le loro abitazioni e sono fuggiti. Gli unici stranieri rimasti in città sono i rifugiati. I somali riferiscono che le strade sono vuote, i negozi chiusi e il cibo comincia a scarseggiare. Parte la prima occupazione dell'Ambasciata somala a Tripoli. L'ambasciatore non c'è. Partito per una missione in Kuwait, prima che scoppiasse la rivolta, non ha fatto ritorno in Libia. Circolano voci di presunte morti tra i somali. Inoltre, ci sono casi di linciaggi ai danni di rifugiati usciti allo scoperto perché in ricerca di provviste alimentari.

Terza Settimana
A Tripoli, la popolazione libica comincia ad armarsi. Si vedono circolare molte persone armate e tanti giovani taglieggiano i rifugiati che vagano per la città in cerca di cibo. La fame si fa sentire e spinge i somali ad uscire dalle case. Capita che alcune persone non facciano ritorno alle loro abitazioni.
I somali dicono di avere la sensazione che in città ci si stia preparando ad una guerra civile. Temono che stia accadendo qualcosa di grosso e fanno pressione per lasciare la città. Infatti, oltre alla fame, la speranza di poter lasciare la Libia ha spinto alcuni somali a raggiungere il porto di Tripoli.
Pare che ci siano delle navi attraccate, che qualcuno chieda soldi e documenti ai rifugiati somali. La notizia è da accertare poiché sono voci che circolano tra i somali. Purtroppo, la comunicazione tra i rifugiati è limitata perché i somali sono raccolti in gruppi sparsi in varie abitazioni della città.
L'emergenza cibo non è l'unica motivazione che li spinge ad uscire da casa. C'è anche l'esigenza di aumentare i contatti tra i rifugiati vista la frammentazione che si è creata.
I somali hanno saputo che gli eritrei si sono rifugiati nella Chiesa e che per alcuni c'è la possibilità di lasciare il paese. Per telefono lanciano l'appello di essere evacuati tutti insieme, senza distinzioni. Alcuni di loro hanno pensato di raggiungere la Chiesa e chiedere aiuto ma il timore di essere aggrediti durante il tragitto li ha fatti desistere.
Dalle ultime testimonianze sentite, i rifugiati vorrebbero tentare di portare donne e bambini verso la Chiesa per chiedere la loro protezione. Si sentono abbandonati e dicono di non aver nessun punto di riferimento, nessuno che si occupi di loro o che ascolti la loro richiesta di aiuto.
In questo clima d'incertezza temono per le loro vite.