10 January 2011

Un uomo non può rimanere a guardare

C'è un video su youtube che mostra i volti senza vita di alcuni dei 20 ragazzi ammazzati dalla polizia tunisina durante gli scontri dell'8 gennaio a Kasserine e Thala (per chi lo volesse vedere è qui, ma è molto forte). Guardandoli ho pensato ai tanti volti dei ragazzi che incontrato in questi anni sulle rotte del Mediterraneo. Giovani che con lo stesso coraggio sfidavano la morte in mare. Perché quando la frustrazione cresce ti sembra di non avere più niente da perdere, se non i sogni da inseguire. E allora mi sono venuti in mente i loro padri. I padri dei ragazzi morti in piazza contro il regime tunisino. E i padri dei ragazzi morti in mare sulla rotta per l'Europa. E ho ritirato fuori questa intervista a Kamel. Lo incontrai a Annaba, in Algeria, due anni fa, all'indomani di una importante vittoria di calcio della nazionale algerina. Mérouan, suo figlio, classe 1982, è partito tre anni fa per la Sardegna, ed è sparito in mare. Forse le parole di suo padre, rilette a distanza, aiutano a capire perché, nella Tunisia e nell'Algeria di oggi, un uomo non può rimanere a guardare.

Kasserine, funerale di un ragazzo ucciso dalla polizia

Annaba, Algeria, novembre 2009
«I politici accusano i giovani di essere traditori, di non essere nazionalisti perché bruciano le frontiere, quando è tutto il contrario. Ma lo vedi quanto amore per la propria terra, quanta energia! Sono loro i veri nazionalisti, e i politici i veri traditori.

Hai visto Hicham, il fratello di Ikram Hamza. La Guardia costiera gli ha ucciso il fratello e lui scende a festeggiare con la maglia della nazionale algerina. Sai perché? Perché ama davvero il suo Paese. Mentre altri che dicono di amarlo non lo amano per niente e stanno rubando il futuro ai nostri ragazzi. E allora mi rattristo perché vedo tutti questi giovani in piazza con una bandiera. Tutta questa energia per una partita di calcio. E so che domani, quando sarà passata l'euforia, tornerà tutto come prima. Non sarà cambiato niente.

Ma sono loro la maggioranza del Paese, i giovani. E se un giorno scenderanno in piazza con la stessa energia a chiedere dignità, lavoro, futuro, riprenderanno il Paese in mano. Perché questo Paese appartiene a loro. Non a quella banda di farabutti che mangia sulle nostre spalle. Mio figlio queste cose le ha capite prima di me. Per quello è partito. Un uomo non può rimanere a guardare. Qui siamo come imprigionati. È come a Gaza. Siamo circondati da un muro. Hai una bambina malata e devi rischiare la vita per attraversare un fottuto tunnel sotterraneo per andare a Rafah a comprarle le medicine che non trovi a Gaza. È la stessa situazione. La Francia che ha ucciso mio zio e mio cugino, la Francia che ha scopato mia nonna, oggi mi chiude la porta in faccia. La Francia che mi ha costretto a parlare la sua lingua e che ancora oggi mi parla di francofonia, mi impedisce di andare a vedere l’opera a Parigi»

Il giorno in cui i giovani scenderanno in piazza, sembra arrivato.