10 September 2009

Mai più. Viareggio ricorda i 73 eritrei lasciati morire al largo di Lampedusa


LUCCA - Ieri sera Viareggio ha ricordato i 73 eritrei lasciati morire nel Canale di Sicilia dopo tre settimane alla deriva. Circa duecento persone si sono ritrovate nel giardino della chiesetta di uno dei primi preti operai, Sirio Politi (morto nel 1988), lungo i canali della Darsena. Un campo della pace, al centro del quale era sistemata una barchetta di ferro con sopra 73 candele accese, strette strette una accanto all’altra. La musica accompagnava la lettura di un articolo di Ezio Mauro con la storia di Titi, l’unica ragazza sopravvissuta. Poi ci sono state letture bibliche e testimonianze. La mia, e quella di un prete italo-eritreo, don Pietro, figlio di un italiano emigrato in Eritrea a inizio Novecento in cerca di fortuna. Ogni tre minuti il silenzio era interrotto da tre rintocchi di campana. E per ogni rintocco veniva spenta una candela. E man mano che il numero delle candele accese diminuiva, ognuno dentro di sé chiedeva fuoco per riaccenderle. Chiedeva vita da opporre alla morte. Alla morte ingiusta e insensata di 73 giovani vite, portate via nel fiore della giovinezza. Più tardi ci siamo recati sul molo. E abbiamo consegnato al mare un fiore ciascuno, dopo una preghiera funebre in Ge’ez, l’antica lingua sacra utilizzata nelle liturgie religiose in Eritrea. A una delle organizzatrici, Donatella Turri, della Caritas di Lucca, abbiamo chiesto di raccontare il senso di questa iniziativa. Ecco le sue parole. Le foto invece sono di Andrea Ruberti.

"Sono morti in 73.

Volevano migrare verso di noi.


Dice che nessuno li ha visti, mentre il mare se li prendeva.


Noi ci siamo ritrovati, il 9 settembre, davanti al mare, che da noi si chiama Viareggio, attorno ai loro nomi che non conosciamo per tre poverissimi motivi.


Volevamo fare memoria di loro, di 73 vite che sono state spente e che sono testimoni di molte, innumerevoli altre vite che hanno avuto una fine gemella, nel maledetto canale di Lampedusa.

Era solo un gesto, per restituire a queste persone la dignità di una memoria che le celebri, ne ricordi i nomi, ne onori i corpi colpevolmente lasciati morire.

Volevamo rimanere svegli, ora che è notte, che non ci si scandalizza più, che non si pensa sia inaccettabile. Perché queste morti hanno dei colpevoli e questi colpevoli sono le leggi e le abitudini di inospitalità che abbiamo scelto ci governino.


Volevamo, poi, suonare una voce, adesso che è così semplice sapere che cosa dire, eppure rimaniamo zitti, tutti, lo stesso. Dire che no, noi non lasciamo che sia, ci sarà ancora domani un segno qualunque di dissenso, di disubbidienza da questo tacito lasciare fare.


Nelle Scritture Sacre, nelle Tradizioni dei popoli, quando si benedice e quando si maledice davvero, definitivamente, è sempre per tre volte.


Noi abbiamo i nostri 3 buoni motivi per fare sì che trovarsi sia la promessa dannata che facciamo alle nostre vite sempre così acquietate e quiescenti: mai più. mai più. mai più"


In questa notte che ci circonda chiediamo a tutti i nostri lettori in giro per l’Italia di organizzare iniziative simili. Di fare memoria delle vittime della frontiera. Per dare loro un nome. Per non farle morire due volte consegnandole all’oblio. E per resistere alla nostra morte. Una morte lenta e silenziosa. Che è quella dell’imbarbarimento civile e umano di questa società.