18 September 2007

Roma: libertà agli eritrei di Misratah!

ROMA, 18 settembre 2007 – Un centinaio di immigrati eritrei hanno manifestato questa mattina a Roma davanti all’Ambasciata eritrea per poi confluire in un sit-in davanti al Parlamento. Chiedono la democratizzazione dell'Eritrea e il rilascio dei 600 richiedenti asilo eritrei detenuti in Libia durante operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina verso l'Italia. All’ambasciatore è stata consegnata una lettera delle associazioni (Ahcs, Aiei, Ahei, Asper, Mossob, Asdge, Pde), e una delegazione è stata ricevuta dal segretario personale della Presidenza della Camera, Giuseppe D’Agata.

Il governo eritreo è accusato di gravi violazioni dei diritti umani da Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters sans Frontières, Nazioni Unite, oltre che dalla stessa Unione Europea. Nonostante il patto di non belligeranza firmato congiuntamente da Eritrea ed Etiopia ad Algeri nel 2000, lo stato di guerra di fatto continua dal 1998. Ragazzi e ragazze, raggiunta la maggiore età, sono obbligati alla coscrizione militare a tempo indeterminato e i disertori sono puniti col carcere. Nel giugno 2005, sono stati fucilati 161 tra ragazzi e ragazze, accusati di diserzione, essendo scappati dalle caserme. Negli ultimi mesi la polizia eritrea sta procedendo agli arresti, ad Asmara, dei familiari dei giovani fuggiti dall'esercito. Le famiglie sono costrette a pagare somme ingenti per evitare il carcere. Vengono inoltre perseguitati giornalisti, obiettori di coscienza, uomini politici e leader religiosi. Una sorte a cui sono scampati i 2.589 eritrei sbarcati lungo le coste siciliane nel 2006. Il 12% dei 22.016 cittadini stranieri sbarcati in Italia lo scorso anno, il 20,8% dei 10.438 richiedenti asilo dello stesso periodo.

Anche per loro hanno manifestato le associazioni eritree. Secondo i rapporti di Amnesty International, Fortress Europe, Habeshia e Islamic Human Rights Commission, oltre 600 cittadini eritrei arrestati nel corso di operazioni di polizia contro l'immigrazione clandestina in Libia, sono detenuti da oltre un anno nel “transit centre” di Misratah, in Libia. La notizia è confermata dall'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur). Le persone sono state arrestate in mare, al momento dell'imbarco o durante retate a Tripoli. La situazione sanitaria nel centro, estremamente sovraffollato, è allarmante, con casi di scabbia e tubercolosi. Tra i detenuti si contano più di 100 donne e almeno 50 bambini, di cui due nati in carcere negli ultimi mesi. Durante le prime settimane di detenzione alcune donne sono state stuprate. I detenuti rischiano tutti l’espulsione. 114 dei detenuti sono titolari dello status di rifugiato politico, riconosciuto loro dalle missioni Acnur in Sudan e in Etiopia e quindi inespellibili in virtù della Convenzione sui rifugiati delle Nazioni unite (mai sottoscritta dalla Libia) e della Convenzione sui rifugiati dell'Unione africana (che la Libia ha invece sottoscritto). Altre 49 delle donne con bambini sono state riconosciute rifugiate durante una visita dell'Acnur nel centro di Misratah all'inizio di Agosto 2007. Quattro Paesi, tra cui l'Italia, si sarebbero detti interessati ad accoglierle. Secondo indiscrezioni l’Italia sarebbe pronta ad accogliere una quarantina delle donne. Sarebbe il primo resettlement di rifugiati in Italia dalla Libia. Ma Mussié Zerawi (Habeshia) chiede uno sforzo maggiore. Se i 600 saranno rimpatriati, come tutto fa presagire, rischiano carcere e torture. La Libia ha già rimpatriato eritrei, nel 2004 e nel 2006, anche su un volo pagato dall’Italia (nel 2004, con 109 passeggeri, secondo un rapporto Ue). Il 27 agosto 2004 un aereo partito da Tripoli per rimpatriare 75 eritrei venne dirottato dagli stessi a Khartoum, in Sudan. 60 dei 75 passeggeri vennero riconosciuti rifugiati politici dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. In patria avrebbero fatto la fine dei 223 espulsi tra settembre e ottobre del 2002 da Malta. Trattenuti prima nella prigione di Adi Abito, in seguito a un tentativo di fuga, vennero trasferiti nel carcere di massima sicurezza di Dahlak Kebir, e alcuni vennero uccisi.

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