24 September 2008

Castel Volturno: parla il superstite che ha denunciato i killer

Tratto da repubblica.it, di Conchita Sannino

CASTELVOLTURNO - "Mi sono salvato fingendomi morto. In quegli istanti mi sono consegnato al mio Dio, ho pensato a mia moglie lontana, ai miei figli. Mi sono salvato pregando in silenzio e cercando di non respirare. Il sangue dei miei compagni morti, caduti vicino a me, mi bagnava il volto, le braccia, mi rigava i pantaloni, non dovevo muovermi. Per questo i killer hanno pensato che fossi anche io un cadavere".


L'orrore del sopravvissuto è un racconto lucido e ancora impregnato di panico. Un film che scorre in inglese e un po' in italiano, tra lacrime soffocate e ricordi non più resettabili. "Ora va meglio, mi sento sicuro, vedo che ci sono le divise dello Stato a proteggermi", ha detto ieri ad un caro amico, un docente africano sposato con un'italiana. E ha aggiunto: "Ora non lasciatemi solo". Per un istante Joseph sorride, l'abbandono del sollievo è in lingua ashanti, quella della terra d'origine, l'idioma che viene dal centro-sud, il cuore del Ghana.

Joseph è un africano di trentaquattro anni, in possesso di regolare permesso di soggiorno. Ed è il supertestimone della strage di Castelvolturno, l'unico sopravvissuto alla spedizione di giovedì sera della falange stragista dei casalesi, l'unico dei sette africani scampato alla ferocia dei 130 colpi esplosi tra kalashnikov, mitragliette e pistole, tutti svuotati contro una comunità di inermi africani, dentro e fuori la sartoria "Ob ob Exotic Fashions", al chilometro 43 della Statale Domitiana. Tra poche ore Joseph, ferito da quattro pallottole alle gambe a ad un braccio, raggiungerà - burocrazia permettendo, vista la lentezza con cui si attendevano ancora ieri alcuni "nulla osta" da Roma - una nuova località protetta. L'uomo che ha accusato tre killer della falange terroristica dei casalesi viene guardato a vista da una schiera di agenti, ma sa che nulla nella sua vita sarà più come prima.

È stato il ghanese a indicare con certezza, tra dozzine di foto segnaletiche, i volti dei tre presunti assassini di quel raid. Uno di loro è stato arrestato: Alfonso Cesarano, il pluripregiudicato agli arresti domiciliari. Sarebbe proprio lui il killer armato di pistola nel quale si è imbattuto Joseph, quel giovedì sera, guardandolo per un buon lasso di secondi negli occhi: mentre Joseph provava a sporgersi fuori della sartoria della Domitiana, quel commando entrava nel locale per sterminarli tutti. Subito dopo, lo sguardo dell'africano si è fermato sugli altri due, che egli ha riconosciuto nei volti di Alessandro Cirillo e Oreste Spagnuolo, già latitanti in relazione ad altri crimini di cui li accusa il pool antimafia diretto dal procuratore aggiunto Franco Roberti. Due killer tuttora in fuga. Per i pubblici ministeri Cesare Sirignano e Alessandro Milita, quel teste appare "attendibile e puntuale". Il racconto di Joseph, per i pm, convalida l'ipotesi di "una aggressione terroristica a tutti gli effetti, una sorta di caccia al nero". Le vittime, scrivono infatti i magistrati, "erano apparentemente estranee a ogni propensione criminale, e tutte accomunate dal solo colore della pelle". L'obiettivo della strage era: "irretire un'intera comunità e affermare con la forza il predominio mafioso sulla zona con atti di terrorismo tali da assoggettare e terrorizzare l'intera collettività, con specifico riferimento a quella di colore".

Una agghiacciante tesi investigativa. Che prende corpo, a sentire il racconto di Joseph.
"Ero arrivato nella sartoria del mio amico Ibrahim solo da un'ora. Poiché ero rientrato dal Ghana da alcuni giorni, lui mi aveva chiesto di passare e di fargli vedere delle foto. Gli stavo porgendo la mia macchina digitale quando ho visto un'auto che si fermava bruscamente. Sono scesi tre uomini armati, indossavano quelle pettorine con la scritta "polizia", e sono entrati dentro. Hanno cominciato a sparare, raffiche continue". Joseph è il primo a cadere: è la sua fortuna, se così si può dire.

"Intorno a me c'era tanto sangue. Il mio amico Ibrahim, il titolare della sartoria, è piombato quasi addosso a me sul pavimento. Gli hanno spappolato la testa a colpi di mitragliatore e di pistole. Un buco enorme, non dimenticherò mai lo squarcio di quella ferita. E scorreva tanto sangue. Io ero ferito alle gambe, e a un braccio. Ma c'era il sangue degli altri ad aiutarmi, il sangue dei fratelli africani che scorreva copioso. Come quello di Samuel e Julius. Ero come immerso in quella spaventosa pozzanghera. Con il viso quasi coperto dai loro arti. E stavo immobile, con gli occhi chiusi. Pregavo. E cercavo di non respirare. Così sono passati quegli attimi. Sotto il rumore assordate delle raffiche, sotto i vetri che cadevano in frantumi, mentre fingevo di essere cadavere. Quando ho sentito che uno degli assassini diceva: "Sono tutti morti, jammuncenne", andiamocene, ho capito che il mio Dio mi aveva salvato".

Il presunto aggressore di Joseph, Alfonso Cesarano, sarà condotto oggi dinanzi al gip, per la convalida del fermo. Dovrà rispondere di accuse gravissime: strage aggravata dalla finalità terroristica e dalla modalità mafiosa. Eppure a quel pluripregiudicato erano stati concessi gli arresti domiciliari. Una polemica politica che non si spegne. Al punto che il ministro dell'Interno Roberto Maroni annuncia di voler chiedere al Parlamento "la richiesta di eliminare il beneficio dei domiciliari per tutti coloro che sono coinvolti in attività mafiose". Mentre Joseph, il supertestimone, ha già voltato le spalle alla sua vecchia vita. Simbolo di un coraggio che non parla italiano.
(24 settembre 2008)