25 January 2011

Tunisi liberata: di nuovo in piazza per la libertà

TUNISI – “Peggio della dittatura c'è solo la morte. Ma quella l'abbiamo già conosciuta e non ci fa più paura, adesso vogliamo la libertà, non possiamo accettare di essere governati dai complici di chi ha assassinato i martiri della nostra rivoluzione”. Salim stringe tra le mani un pannello di legno su cui è incollata la foto del suo vicino di casa, Walid El Griri, 18 anni appena compiuti, morto ammazzato con un proiettile sparato in faccia dalla polizia il 9 gennaio. L'agita in aria come se fosse la bandiera del paese che verrà. Intorno a lui migliaia di persone presidiano la piazza della kasbah, dove si trova il palazzo del primo ministro. Il portone d'ingresso è letteralmente murato. Migliaia di persone stazionano di fronte a uno sparuto gruppo di militari. Nessuna tensione. L'esercito è con il popolo. I militari si scambiano pacche sulle spalle con i manifestanti. La tensione è con il primo ministro del governo transitorio, Ghannouchi. É là dentro, barricato in qualche ufficio. Ed è lui oggi l'uomo più odiato da questa piazza straordinariamente euforica.



Non hanno bandiere di partito, c'è solo la bandiera rossa della Tunisia e le foto di quei martiri. Prima su tutte quella di Mohamed Bouaziz, il venditore ambulante di Sidi Bouzid, che con il proprio suicidio ha innescato le rivolte nel paese un mese fa. Poi c'è la foto di Hicham Nimuni, freddato dalla polizia a Tadamun, periferia di Tunisi, mentre rientrava dal lavoro. E poi c'è la piccola Iqin Garmaz. Nella foto sorride, è una bambina di sei mesi. A portare in giro il suo poster è il vicino di casa, che ripete con le lacrime agli occhi e un filo di voce la stessa storia a tutti quelli che incontra. La gente deve sapere. La piccola è stata uccisa da un lacrimogeno sparato dentro un hammam a Qasserine nei giorni dell'inferno. Sono loro, i morti di Tala, di Sidi Bouzid, di Qasserine, di Tunisi, i martiri della nuova Tunisia. Le cifre ufficiali parlano di 78 vittime, ma forse sono molti di più. Sono tutti ragazzi e per la maggior parte poveri. Ed è sul loro sangue che si va costruendo il mito di un nuovo corso.

In nome del loro sangue versato, sono partiti in migliaia da ogni regione del paese, da Binzerte a BenGuerdane per raggiungere la capitale e presidiare la sede del governo fino al momento in cui il primo ministro Ghannouchi darà le dimissioni. Nessuno è pronto concedere sconti. Dalla notte di ieri, in piena violazione del coprifuoco che scatta alle 20,00, la piazza del governo è riscaldata dai cori dei manifestanti. “Tounes hurra attajamma3a 3ala barra!” La Tunisia è libera, fuori il partito di Ben Ali!
La cosa straordinaria è la spontaneità di tutto questo. In piazza non sventolano bandiere di partito, ma soltanto la bandiera tunisina. E nessuno si sente rappresentato né dal partito del vecchio regime, né tantomeno dai gruppuscoli dell'opposizione. “È tutto un teatro! Vogliamo una democrazia reale! Vogliamo che sia il popolo a scegliere da chi essere governato, basta con questa mafia!”

E allora la piazza diventa un'esperienza iniziatica. Dove un'intera generazione arrivata nella capitale da ogni angolo del paese tocca con mano la propria forza rivoluzionaria attraverso racconti epici finora circolati solo sulla rete. Loro che hanno liberato il paese dai fantasmi del passato, adesso in qualche modo stanno liberando anche l'immaginario del futuro. Nel senso che quella gioventù che fino a ieri sapeva sognare soltanto l'evasione, la fuga, l'altrove, anche a rischio della propria vita su una barca diretta a Lampedusa, è la stessa gioventù che oggi vuole esserci per scrivere questa pagina di storia. E c'è addirittura chi ha lasciato l'Europa per ritornare qui a lottare.

Nidham per esempio è venuto da Parigi. Ha 24 anni e prima di prendere l'aereo si è consultato con la famiglia: “Ho chiesto a mio padre, e lui mi ha incoraggiato. Era troppo importante per me. Stiamo facendo una rivoluzione. Siamo un modello per tutti i paesi arabi e per tutto il mondo, sono fiero di essere tunisino”. La stessa fierezza è scritta sui muri imbrattati di slogan scritti con le bombolette spray. “Enfin libre”, finalmente liberi. In piazza del governo c'è tutto un muro su cui i ragazzi hanno incollato i manifesti di carta che hanno portato oggi in strada. Le parole più ricorrenti sono hurrya, libertà, thaura, rivoluzione e shuhada2, martiti. Poi c'è uno striscione appeso alle grate delle finestre del primo piano del palazzo del governo, con su scritto in arabo “Noi non ci arrendiamo. O vinciamo o moriamo!” Tunisi, oggi come non mai, sembra crederci davvero.

“Andremo avanti fino a quando questo governo cadrà. Vogliamo un vero cambiamento non un lavoro a metà”, scandisce con passione il professor Ali, insegnante delle scuole superiori sceso in piazza con i suoi studenti. Perché oggi dovevano riprendere i corsi, ma il sindacato dei professori ha proclamato una giornata di sciopero, andando contro gli appelli alla responsabilità che erano arrivati dal mondo politico. Gli insegnanti sono pronti a recuperare alla fine dell'anno le ore perse – mi dicono dal sindacato – ma adesso la priorità è che i complici del regime escano dal governo. “Sono personaggi sporchi - dice Salma, una studentessa liceale di Tunisi, mentre un elicottero dell'esercito ci sorvola - e se ne devono andare. La gente si è svegliata, non possono trattarci da ignoranti”.

Proprio così il popolo si è risvegliato. E adesso tutti chiedono a gran voce una “democrazia reale”. Le personalità non mancano, mi dicono gli avvocati in piazza e le donne dell'associazione tunisina delle donne per la democrazia. “Nel paese abbiamo personalità di spicco e funzionari di ogni livello non compromessi né con il regime né con il circuito di corruzione che ha retto il paese per anni”. Staremo a vedere. Un cambiamento irreversibile però già si vede. La gente ha dimenticato cosa sia la paura. Bouazizi e gli altri non sono morti invano.

la giornata raccontata è quella di lunedì 24 gennaio 2011, in serata è arrivata la notizia delle annunciate dimissioni di Ghannouchi e dei quattro ministri più compromessi con il vecchio regime